Lo scorso 18 febbraio papa Francesco ha riconosciuto le virtù eroiche del cardinale Eduardo Francisco Pironio (1920-1998), dichiarandolo venerabile. Già Presidente del Pontificio consiglio per i laici, è stato uno degli ideatori delle Giornate mondiali della gioventù e ha ricoperto la carica di assistente nazionale dell’Ac in Argentina. Testimone vivente della radicalità del Vangelo e del messaggio del Concilio, Eduardo Francisco Pironio nacque in una famiglia molto religiosa di immigrati friulani in Argentina. Il suo stile, la sua coerenza e la sua fede furono elementi di distinzione che lo resero ben presto, come pastore, stretto collaboratore di papa Paolo VI e di Giovanni Paolo II, in particolare a servizio dei religiosi e dei laici.
L’editrice Ave, a firma di Giuseppina Paterniti, ha dedicato al card. Pironio una biografia dal titolo, Eduardo Francisco Pironio, profeta di speranza (Ave, 2020).
In appendice al libro, vengono riportati alcuni pensieri di papa Francesco su Pironio, tratti, rispettivamente, dall’omelia del cardinale Jorge Mario Bergoglio in occasione del Seminario internazionale tenutosi a Buenos Aires dal 5 al 7 aprile 2002, e da un’intervista pubblicata sulla rivista Pastores, 43 (dicembre 2008). Ne pubblichiamo una parte.
Durante il seminario internazionale dedicato al cardinal Pironio a Buenos Aires nel 2002, il cardinale Bergoglio, futuro papa Francesco, durante l’omelia, si domanda come viveva l’amicizia il cardinale Pironio.
Il sacerdote è amico di Dio per gli uomini, non come amico di Dio che regola le cose con Dio e poi le passa agli uomini, ma questa sua stessa amicizia la va proiettando verso il prossimo. Si impegna affettivamente nella vita degli uomini e questo impegno affettivo non è meramente umano, ma trova la sua fonte in Dio, nell’amicizia con Dio. Solamente un contemplativo come era lui può essere amico nel vero senso della parola. È significativo che uno dei temi privilegiati del Cardinale fosse quello dell’amicizia. Guardando alcuni suoi appunti non ancora pubblicati di esercizi predicati al clero, ecco come egli definisce l’amico: «È colui che ascolta con interesse, che parla solo quando è opportuno, che condivide il cammino, la vita dell’altro, facendosene carico, mai indifferente». Pironio considerava l’amicizia come uno dei grandi valori umani e come una delle più profonde esigenze della vita cristiana e sacerdotale, gli piaceva pensare ai sacerdoti amici tra loro […] come testimonianza pastorale, con finalità apostolica.
Ricordare Pironio, l’amico di Dio, porta con sé la nostalgia di non avere più sulla terra quell’amico per gli uomini, per tutti gli uomini. Allo stesso tempo ci fa ricordare, rendendo attuale la sua vita, come traspare dai suoi scritti, lungo tutto il suo ministero pastorale ed episcopale, colui che ha lasciato alla Chiesa, specialmente nella nostra patria, il cammino dell’amicizia come mezzo per andare sicuri e arrivare a Dio con i fratelli. […] Con i gesti di Gesù, il grande amico che nella sua immensa misericordia trasforma il rimprovero verso il non credente in un segno di affetto: «Vieni, tocca, metti la tua mano…». Queste parole sono il sigillo dell’amicizia tra i fratelli che si riunivano assiduamente e ponevano le loro cose in comune, sono il sigillo dell’amicizia tra gli uomini che, come Eduardo, hanno segnato questo cammino e ci lasciano un’eredità apostolica per continuarlo.
Nel 10° anniversario della scomparsa del cardinal Pironio, la Conferenza episcopale argentina dedica il 5° Incontro nazionale dei sacerdoti al tema Gioiosi servitori della speranza (settembre 2008), a partire dalla testimonianza sacerdotale del cardinale. Un intervento fu tenuto dal cardinale Bergoglio, che fu poi intervistato sul tema dalla rivista Pastores.
Ho conosciuto molto da vicino Pironio quando era vescovo ausiliare di Mar del Plata dal 1964 al 1972. Io a quell’epoca ero Provinciale dei gesuiti.
Quando parlavi con lui ti dava sempre la sensazione che si sentisse il peggiore uomo del mondo, il peggior peccatore. Ti apriva un panorama di santità dalla sua profonda umiltà. Ti apriva orizzonti, sperimentavi che non chiudeva mai le porte a nessuno, anche la gente che lui sapeva che non lo aveva capito. Dimostrava anche una grande pazienza facendomi ricordare il testo dell’apostolo Paolo a Timoteo: «perché Gesù Cristo ha dimostrato in me tutta la sua pazienza». In questo rifletteva l’amore di Dio per noi. E quando doveva porre un limite, lo poneva però con una carità squisita.
Senza parlare del contenuto delle sue confessioni, ricordo che quando si confessava con me, era come un bambino della prima comunione, pieno di quel candore di bambino che non aveva mai perso. Un altro aneddoto riguarda con la sua carità squisita. Eravamo a Roma durante il Sinodo di America (dal 16 novembre al 12 novembre 1997) e insisteva perché andassimo a pranzo da lui. Soffriva dolori grandissimi per la sua malattia, sarebbe morto a febbraio. Ci ha ricevuti nella sua casa il 9 o il 10, i delegati argentini erano Arancedo, Arancibia, Casaretto, Mollaghan e altri. Tra sorrisi e parole di benvenuto, abbiamo notato che camminava con difficoltà ma non abbiamo notato un gesto di dolore in nessun momento: ha dissimulato per tutto il tempo, durante il pranzo e durante il lungo dopo pranzo. Finché non ce ne siamo andati, rimase sempre sorridente, non smise di chiedere, di interessarsi, divertirsi, scherzare e ascoltare battute e tutto mentre soffriva forti dolori.