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La Città, La Pira e Weil

Abbiano un solo destino che ci attende, che attende le nostre case, le nostre città, quello dell’umanità. Esso ci impone di cercare il bene.

Le nostre città ci somigliano. Hanno i nostri stessi occhi in una notte senza stelle, senza riferimenti, insicuri e smarriti. E reagiscono come noi: si paralizzano, si svuotano, quando non riescono a immaginare il passo da fare, al direzione da prendere, o vengono travolte dalla frenesia del dover comunque da andare da qualche parte e contemporaneamente da tutte le parti. Dopo la pandemia (ma siamo davvero al dopo?) le nostre esistenze, le nostre città, avranno compreso, avremo compreso, la necessità di uscire dalla paralisi o scendere dalla giostra di stili di vita e modelli di sviluppo potenzialmente assassini di futuro? Avremo finalmente lo sguardo dei folli e dei poveri?, poiché «solo i folli e i poveri, con assoluta limpidezza di sguardo, contemplano la verità del mondo e ne colgono tutto lo splendore»?(Simone Weil – Dichiarazione degli obblighi verso l’essere umano). Abbiano un solo destino che ci attende, che attende le nostre case, le nostre città, quello dell’umanità. Esso ci impone di cercare il bene. Il bene comune, il solo possibile, il solo durevole.

È lì, nella nostra casa, nel nostro paesino, nel nostro quartiere metropolitano, nella nostra città caotica e indifferente che siamo chiamati ad essere protagonisti di prossimità e di fraternità. Lì si combatte la buona battaglia, lì siamo chiamati a rispondere «quale tipo di umanità vogliamo essere, quale terra vogliamo abitare, quale mondo vogliamo costruire» (Discorso di Papa Francesco al Consiglio nazionale dell’Ac, 30 aprile 2021). Partendo dal basso, da ciascuno di noi. Sempre Weil «L’anima umana ha bisogno di partecipazione disciplinata a un compito condiviso di pubblica utilità, e ha bisogno di iniziativa personale in questa partecipazione». Uno slancio progettuale personale e collettivo, generativo, che coniughi immaginazione e utilità, emozioni e comportamenti, identità e differenze, vecchie e nuove forme di vita e modi di abitare. Portando con se ogni giorno le parole di Giorgio La Pira sindaco: «Ogni città racchiude in sé una vocazione ed un mistero: voi lo sapete: ognuna di esse è da Dio custodita con un angelo custode, come avviene per ciascuna persona umana. Ognuna di esse è nel tempo una immagine lontana ma vera della città eterna. Amatela, quindi, come si ama la casa comune destinata a noi ed ai nostri figli» (Discorso agli assegnatari delle case popolari a Rive dell’Arno- Firenze 1954).

Dopo le stagioni dei palazzinari, degli orrori urbani, lo Zen a Palermo, Corviale a Roma e Scampia a Napoli, abbiamo bisogno di architetti e ingegneri, amministratori e pianificatori, con una visione della città, dell’abitare. Capace di riorganizzare economia, densità e compattezza dei territori. Vanno aiutate le persone che vivono in piccoli centri, alle prese con lo spopolamento, e quelle che vivono nei ghetti del terso millennio, le periferie delle grandi città metropolitane. Possiamo ancora vincere la battaglia iniziata dal sindaco La Pira tanto tempo fa: città aperte al mondo, solidali e belle, vivibili e accoglienti, dove la tecnologia è a servizio dei bisogni delle persone, specie quelle più fragili. Dove nessuno è lasciato indietro. Dove «ogni vostra casa sia, come dice il proverbio, come una badia: sia come un giardino che ha terren buono e che produce fiori e frutti: sono i fiori ed i frutti delle virtù familiari, religiose e civili».

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