Anche in questi giorni di guerra e pandemia, una frontiera di impegno particolarmente urgente è quella relativa alle morti sul lavoro. Gli episodi luttuosi, infatti, si vanno ripetendo con una cadenza sconvolgente, segnale di un comparto bisognoso di maggiore vigilanza. Bisogna qui saper passare con prontezza dalle denunce ai fatti concreti, agli investimenti precauzionali, alle verifiche e ai controlli. Tutti i soggetti coinvolti devono fare la loro parte, con un supplemento di responsabilità condivisa. Dagli imprenditori, in particolare, si attendono innovazioni strutturali che possano garantire il successo degli altri interventi di tutela della sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici. La vita è sacra, e distintamente lo è quella impegnata sul lavoro duro e rischioso.
I vescovi italiani hanno alzato ancora una volta la voce sul dramma delle morti sul lavoro, sulla sicurezza sui posti di lavoro e più in generale sulla “cultura della cura” del lavoro, attirando l’attenzione dei media e – speriamo – della politica. L’hanno fatto per bocca della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace che ieri ha pubblicato il Messaggio dei vescovi per la Festa dei Lavoratori, il prossimo 1° maggio 2022. Il titolo del documento “«La vera ricchezza sono le persone». Dal dramma delle morti sul lavoro alla cultura della cura” non lascia spazio a equivoci interpretativi. Ricordando le parole di Francesco (rivolte il 20 gennaio 2022, in udienza agli imprenditori edili), i vescovi ci rammentano che senza le persone, senza i lavoratori, non c’è impresa, non c’è economia, sottolineando che un buon e saggio imprenditore ha cura dei suoi lavoratori “che hanno valore inestimabile agli occhi di Dio e anche agli occhi del vero imprenditore”.
La strada da fare, quella della consapevolezza e dell’azione, da parte di tutti i soggetti preposti, istituzionali e di categoria, è ancora lunga. I vescovi ci ricordano che in Italia “nel 2021 sono stati 1.221 i morti sul lavoro (dati Inail), cui si aggiungono quelli ‘ignoti’ perché avvenuti nelle pieghe del lavoro in nero”. Oltre alle morti ci sono gli infortuni sul lavoro, anch’essi in preoccupante crescita, e le malattie professionali: un quadro desolante che richiede “interventi urgenti, agendo su vari fronti”.
Universo ancora più preoccupante è quello dei lavoratori irregolari, senza contratto e senza diritti. Centinaia di migliaia di persone, forse milioni di lavoratori che rappresentano una delle facce nuove della povertà in Italia: quella di chi pur lavorando (spesso come schiavi) non riesce ad arrivare lo stesso a fine mese. “Il grido di questi nuovi poveri – denunciano i vescovi – sale da un ampio scenario di umanità dove sussiste una violenza di natura economica, psicologica e fisica in cui le vittime sono soprattutto gli immigrati, lavoratori invisibili e privi di tutele, e le donne, ostaggi di un sistema che disincentiva la maternità e ‘punisce’ la gravidanza con il licenziamento”.
Citano Armida Barelli i vescovi. Nel Messaggio ricordano come la ormai prossima beata “promosse numerose iniziative per la valorizzazione della donna”. A distanza di un secolo la condizione della donna nei posti di lavoro, la promozione della sua dignità di donna e lavoratrice, è ancora insufficiente e inadeguata. Per le molte lavoratrici e per molti lavoratori, specie se migranti, il lavoro – denunciano i vescovi – “non è libero, né creativo, partecipativo e solidale (Evangelii gaudium, 192).
Le responsabilità delle morti e degli infortuni sul lavoro, delle condizioni spesso inumane in cui molti lavoratori si trovano a lavorare, i soprusi e le violenze cui sono soggette molte lavoratrici sono di tutti. In particolare, di chi gira lo sguardo dall’altra parte, di chi potendo far qualcosa preferisce non fare nulla. Non denunciare. Ancora una volta i vescovi ricordano le parole di Francesco: “Dobbiamo oggi domandarci che cosa possiamo fare per recuperare il valore del lavoro; e quale contributo come Chiesa, possiamo dare affinché esso sia riscattato dalla logica del mero profitto e possa essere vissuto come diritto e dovere fondamentale della persona, che esprime e incrementa la sua dignità” (Udienza, 12 gennaio 2022).
Sulla scia della Settimana sociale di Taranto, un contributo importante al cambiamento è incoraggiare la condivisione di “buone pratiche” che in ambito imprenditoriale e amministrativo mostrino come coniugare non solo difesa dell’ambiente e protezione del lavoro, ma anche dignità e sicurezza, evitando dunque condizioni che mettano in pericolo la salute o addirittura causano la morte. Un impegno quest’ultimo che vede in prima linea il Movimento Lavoratori di Azione Cattolica, in particolare, e tutta l’Ac, in generale, attraverso la promozione di percorsi di progettazione sociale e di animazione dei territori e delle reti di comunità. Per il Mlac e l’Ac un’assunzione di responsabilità collettiva che muove dalla convinzione che è possibile attuare quel cambiamento capace di riportare al centro del lavoro la persona, in ogni contesto produttivo.