“La preghiera si trasforma in volontà, la volontà in lavoro, il lavoro in preghiera e in atto”: è in questo mirabile trittico di fede, sapienza e profezia operosa che possiamo rintracciare le profondità umane e spirituali di Armida Barelli. Come il Santo poverello di Assisi – di cui Ida sarà terziaria -, la nostra “Sorella Maggiore” ha saputo vivere il suo tempo nella pienezza delle pieghe (e soprattutto delle piaghe) della Storia (maiuscola) in cui è stata immersa a cavallo di due secoli, così come negli incontri quotidiani, da nord a sud del Paese, con le tante piccole storie di vita (minuscole, ma non meno importanti) di migliaia di donne, bambine, adolescenti e ragazze del suo tempo.
Avvolti nel silenzio di sant’Ambrogio, è il ritratto di una donna non comune quello che fratel Massimo Fusarelli – francescano e ministro generale dell’Ordine dei frati minori – offre alle centinaia di presenti in Basilica per la Veglia di preghiera in preparazione alla beatificazione di Ida – domani 30 aprile -; “una milanese a tutto tondo”, capace di “anticipare il futuro come pochi”, lungo tutta “la sua esistenza di donna, di cristiana e di francescana”. Soprattutto una “costruttrice formidabile”: “di movimenti, di edifici e opere, di iniziative anche in tempi oscuri come quelli di guerra, di idee e sogni di futuro”. Un operare continuo e instancabile il suo, sostenuto e alimentato continuamente dalla preghiera, l’“energizzante” tutt’altro che segreto fatto di “giaculatorie, frasi brevi, che inventa e consegna, che affida e invita a recitare”. Un modo semplice per dirci ancora oggi che occorre pregare sempre, ma anche che è sufficiente una breve frase per “ricentrare la vita sul vero fine: il Signore, il suo Regno”.

Ida Barelli ha vissuto una “spiritualità incarnata”, quella che fa della vita intera una preghiera e della preghiera un’azione trasformatrice del mondo, “affinché il seme del Regno cresca”, sottolinea fr. Massimo. Una spiritualità “profondamente laicale”, che “non ha orari o campanelli che invitano alla preghiera”, ma che sa trasformare il lavoro, così come i viaggi e gli incontri affrontati, in vera “esperienza spirituale”. Una spiritualità, che non separa dal mondo, ma che sa leggere, negli eventi della storia, i ‘segni dei tempi’, “ascoltandovi la voce del Signore”. Quello di Ida è al netto un “apostolato esemplare”, che oltre le mura di questa antica e santa dimora ambrosiana si propone come modello per ogni tempo e per ogni luogo: animare tutta la propria attività con un profondo senso religioso, ossia nutrirla con “il lievito del quale parla il Vangelo di Matteo e che trasforma il mondo”.
Sarà del resto questa “spiritualità incarnata” la base della scommessa della “Gioventù femminile cattolica italiana di Azione cattolica”. L’opera più grande di Armida: rendere le donne protagoniste del loro tempo e della missione che da laiche avrebbero avuto in virtù della propria fede. Una scommessa vinta, poiché la nostra “Sorella Maggiore” ha senza alcun dubbio contribuito, con l’opera della sua intera vita, alla dignità e al riscatto delle donne del suo tempo, coltivando in loro “la coscienza di essere una dimora abitata, dal Mistero e da una coscienza libera e responsabile, capace di autodeterminarsi, alla luce della fede e della ragione”.

Anticipatrice dell’agire dello stesso Concilio Vaticano II. Oggi, infatti, sappiamo che la diffusione della Gioventù femminile su tutto il territorio nazionale permise un’ampia mobilitazione delle donne nella Chiesa a partire dalla base. L’associazione grazie ad Armida divenne uno strumento molto efficace per diffondere il messaggio di un laicato femminile attivo, dedito alla formazione delle persone e alla cura della dimensione spirituale. Come ci ricorda ancora fr. Massimo Fusarelli: “L’origine e la fine dell’azione (di Ida) dimoravano sempre in Cristo e in particolar modo nel Sacro Cuore, nei confronti del quale la Barelli nutrì profonda devozione per tutta la sua vita”.
Domani la Chiesa riconoscerà ufficialmente il “discepolato cristiano esemplare della Sorella Maggiore”, che ha vissuto “la beatitudine dei piccoli del Vangelo, che sola rende veramente beati!”. Oggi e per sempre, con Armida, e grazie alla sua testimonianza, ricordiamo che “siamo figli di santi e fratelli e sorelle di discepoli, abbiamo ricevuto il dono della vita cristiana e lo restituiamo con la vita”. Armida Barelli ce lo ha mostrato e ne fa memoria a tutta la Chiesa e al mondo.

Al termine della veglia, mons. Gualtiero Sigismondi, assistente ecclesiastico generale dell’Ac e vescovo di Orvieto-Todi, anche a nome del presidente nazionale dell’associazione, Giuseppe Notarstefano, ha voluto ringraziare i presenti nella Basilica sant’Ambrogio ricordando le parole utilizzate da padre Agostino Gemelli per descrivere l’amica Ida: “Era inconfondibile: la freschezza dello spirito, l’ingegno intuitivo e pronto, la capacità di organizzare e attuare il programma lavorativo stabilito, l’essere sempre con il sorriso e il suo spirito accogliente per tutti, specie per i più umili”. Personalità originale animata da grandi ideali, Armida Barelli ha dato corpo con la sua vita al ritratto del vero laicato cristiano disegnato dalle parole di John Henry Newman, suo quasi contemporaneo: “Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nei discorsi, non polemico, ma uomini e donne che conoscono la propria religione, che in essa vi entrino, che sappiano bene dove si ergono, che sanno cosa credono e cosa non credono, che conoscono il proprio credo così bene da dare conto di esso, che conoscono così bene la storia da poterlo difendere”. Parole che in questa serata milanese si fanno augurio per tutti noi.