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Il “bis” che chiama a un nuovo impegno

Il nuovo “sì” di Sergio Mattarella ha il sapore della cura, oltre che della responsabilità. Però, mentre si denuncia l’oggettiva debolezza di leadership e partiti, non si può ignorare che l’inadeguatezza dell’attuale sistema politico deriva dalle indifferenze di tanti alla cosa pubblica, alla partecipazione dei processi democratici. Guai ad autoassolverci. L’articolo anticipa il nuovo numero di "Segno nel mondo" che sarà disponibile in settimana.

L’agonia è finita, o meglio sospesa. La settimana in cui il Paese ha visto con i propri occhi il buio pesto in cui si dimena il sistema politico si conclude con l’unica possibilità rimasta realisticamente sul campo, il secondo mandato di Sergio Mattarella. Un esito ancora più significativo alla luce delle ragioni, serie e tuttora valide, e da riprendere urgentemente tra le mani, con cui il capo dello Stato ha cercato di evitare il “bis”. In parole semplici: quando l’eccezione diventa norma, l’istituzione e il processo democratico che la sostengono diventano più deboli; quando l’eccezione diventa norma, ciò che oggi viene fatto in via straordinaria per salvare il salvabile domani potrebbe essere perseguito e premeditato per scopi molto pericolosi.

E pensare che almeno in tre occasioni pubbliche il capo dello Stato aveva ribadito il suo “no” al reincarico, appellandosi alla responsabilità dei partiti, dei gruppi parlamentari e delle delegazioni regionali. Appelli puntualmente traditi al momento della verità. Ma sono proprio queste premesse che debbono animare un sentimento di sincera e non retorica gratitudine verso il presidente della Repubblica.

Il suo “sì” ha il sapore della cura, oltre che della responsabilità. La mattina del 29 gennaio 2022 in cui il sistema politico ha maturato la necessità di rivolgersi di nuovo a lui, infatti, il sistema istituzionale e politico nazionale danzava ubriaco sul ciglio di un burrone. Tra ciniche burle e foto che trasudavano stucchevole e ipocrita impegno per il bene comune, i leader ci avevano trascinato di nuovo sul bivio dell’inaffidabilità agli occhi del mondo intero. Sono circostanze in cui non basta la responsabilità per rispondere «presente», ma ci vuole anche il senso interiore della cura nei confronti della propria comunità. 

«I giorni difficili trascorsi per l’elezione alla presidenza della Repubblica nel corso della grave emergenza che stiamo tuttora attraversando, sul versante sanitario, su quello economico, su quello sociale, richiamano al senso di responsabilità e al rispetto delle decisioni del Parlamento – ha detto il capo dello Stato dopo aver ricevuto il verbale di elezione dai presidenti di Camera e Senato –. Queste condizioni impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati – e, naturalmente, devono prevalere su altre considerazioni e su prospettive personali differenti – con l’impegno di interpretare le attese e le speranze dei nostri concittadini». Responsabilità e cura, appunto.

Ma l’agonia, purtroppo, rischia di essere solo sospesa. La conferma di Mattarella al Quirinale, che porta con sé la prosecuzione dell’impegno di Mario Draghi al governo, ha il sapore di uno “stato d’emergenza” che si protrae. A usare questa espressione, “stato d’emergenza”, è un osservatore attento delle dinamiche politiche e sociali, Ilvo Diamanti. È una definizione pesante, ma fondata. Indica una sostanziale sospensione del regime di corresponsabilità che regola la dimensione civile e politica della Nazione. Ovvero: in questo momento non abbiamo a disposizione tutte le risorse per gestirci con i mezzi ordinari, dobbiamo ricorrere a equilibri straordinari. Non abbiamo la risorsa della politica.

Il punto è che arriviamo a queste conclusioni che hanno del drammatico con un mezzo sorriso quasi compiaciuto. In fondo è l’ennesima occasione per puntare il ditino contro qualcuno o qualcosa. E ce n’è ben donde, sia chiaro. Abbiamo visto di tutto durante i sei giorni di convocazione del Parlamento in seduta comune: donne e uomini di valore usati come spugne per lavare una superficie sporca, e poi buttate via; la seconda carica dello Stato, la presidente del Senato Elisabetta Casellati, che si espone e viene esposta dalla sua parte politica a una bocciatura certa; profluvi di schede bianche e astensioni; dichiarazioni su dichiarazioni, sino alla nausea mediatica. Solo un gruppo di parlamentari “ribelli”, scegliendo sin dalla prima votazione Mattarella, ha acceso un fiammifero che mano a mano è diventato fuoco anche per chi aveva messo la ragione sotto ghiaccio. 

Ma puntare il dito serve davvero a poco. C’è una clessidra che è stata girata la sera del 29 gennaio. Ancora per un anno (forse, chi lo sa, non è detto che i partiti meno “lucidi” di questa fase non riversino le loro beghe sul governo) avremo il doppio argine congiunto di Mattarella e Draghi, poi le elezioni rimescoleranno le carte e la politica non potrà nuovamente urlare alla luna e poi derogare ai propri compiti. Insomma non potremo ancora a lungo rinviare i conti con la realtà. Ci sono impegni da onorare. Fondi europei (la gran parte a prestito, ricordiamocelo) da spendere bene. Riforme da portare a compimento pena l’impossibilità di perseguire una crescita economica strutturale. Una transizione ecologica sostenibile per il mondo del lavoro. Il patto generazionale da riscrivere. Istituzioni da puntellare alla luce dei punti di fragilità emersi anche durante i giorni dell’elezione del capo dello Stato. 

Non potremo nasconderci in eterno dietro dei “totem”. E la politica che ora latita deve ricostruire in fretta la propria credibilità o sarà un danno per tutti. Ha scritto la presidenza dell’Azione cattolica italiana, nel messaggio di auguri a Mattarella: «Al capo dello Stato ci rivolgiamo nella speranza che il suo esempio di fedeltà alla Costituzione e di impegno nella costruzione del bene dell’Italia sia di monito per tutti e faccia fare alla politica un passo avanti. Se la politica diventa come in queste ultime settimane un continuo gridare e gareggiare, uno scontrarsi su tutto e in ogni momento, ne soffrono le istituzioni e soprattutto ne soffrono i cittadini che hanno diritto a una classe dirigente capace di ricercare e proporre insieme reali soluzioni ai tanti problemi dell’Italia».

È proprio così. Se la politica non c’è, non è un dettaglio insignificante. Non è un argomento astratto di cui discorrere per passare il tempo. È un fondamento della nostra convivenza che manca e può far crollare l’intero palazzo. Perciò, mentre si denuncia l’oggettiva debolezza di leadership e partiti, non si può ignorare che ogni grammo di inadeguatezza dell’attuale sistema politico deriva dalle indifferenze di tanti, troppi, alla cosa pubblica, alla partecipazione, alla piena cognizione dei processi democratici, sociali, economici e culturali. È una dimensione di cui riappropriarci con urgenza, anche come associazione e mondo cattolico. Il gesto di cura e responsabilità di Mattarella non deve risvegliare solo “quelli che stanno a Roma”. Guai ad autoassolverci.

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