La storia non è maestra di vita. Altrimenti non assisteremmo a quanto sta accadendo ad Est del confine dell’Unione europea, in terra di Ucraina. In quel cuscinetto geografico che divide la Nato – l’Alleanza nata nel 1949 all’indomani della Seconda guerra mondiale, voluta e dominata dagli Stati Uniti – dal suo nemico storico, l’Unione Sovietica di ieri e la Russia di Putin di oggi. Non sono bastati trent’anni di “Guerra fredda” e decenni di innumerevoli successivi vertici diplomatici, né la consapevolezza che molti dei protagonisti di questa crisi sono potenze nucleari, ad evitare l’accendersi di un focolaio di guerra che rischia di divampare con conseguenze potenzialmente devastanti, e non solo per gli sventurati abitanti di quella regione.
Sono giornate frenetiche quelle che si susseguono nelle cancellerie di mezzo mondo. Tutti a chiedersi sin dove si spingerà Vladimir Vladimirovič Putin, ex militare ed ex funzionario del Kgb russo, presidente e padrone della Federazione Russa dal 7 maggio 2012; novello “Pietro il Grande”, “Zar di tutte le Russie” e della “Terra di confine”, che è poi la traduzione della parola “Ucraina”. Sarà Putin così folle da scatenare una guerra aperta puntando ad arrivare con i suoi carri armati sotto alla scalinata di Palazzo Mariinskij o si accontenterà di tenere alta la tensione sino a quando gli ex fratelli di Kiev non torneranno all’ovile, abbandonando ogni intenzione di entrare nella Nato, apparente motivo di crisi, e accettando l’annessione alla Federazione Russa delle regioni russofone del Donbass e della Crimea, vero casus belli? E, per amore di verità, aggiungiamo: sarà altrettanto ostinata quanto insensata la politica dell’attuale Amministrazione Biden, il presidente americano che – lo ricordiamo – all’indomani della sua elezione ha pensato bene di dare dell’assassino a Putin e che da Washington continua a buttare legna nel camino, puntando a stringere intorno al Cremlino e al suo inquilino una nuova “Cortina di ferro”, dalle sponde del Mar Baltico con annesse repubbliche sino alla Turchia passando, appunto, per Kiev? Le risposte a queste domande fanno tremare i polsi, ancor più delle divisioni tattiche dell’Armata rossa schierate lungo il confine russo-ucraino e nella fedele Bielorussia governata dal fedelissimo Lukashenko, noto campione di moderatismo e democrazia specializzato nel far sparire i suoi oppositori.
A fare paura è anche la consapevolezza di quanto sia relativo (per non dire poco significante) il peso politico delle cancellerie europee e degli inquilini del Palais de l’Europe a Strasburgo. Basti pensare, ad esempio, al risultato del vertice Putin-Macron di pochi giorni fa: un nulla di fatto, ben sintetizzato nella foto ufficiale che ritrae distanti non solo simbolicamente i due protagonisti al tavolo della trattativa. Per non dire poi dell’Italia, che all’ansia di una guerra aggiunge – più che in altri paesi dell’Unione – la sua vulnerabilità energetica. Il 44% del gas consumato nel nostro Paese proviene dalla Russia passando interamente per le condotte dell’Ucraina. Già da settimane, con l’inizio della crisi il caro bollette ha iniziato a svuotare le tasche di cittadini e imprese.
La pace è un bene troppo prezioso per lasciarlo alla sola responsabilità dei potenti. Come ci ricorda papa Francesco (nel Messaggio per la 55esima Giornata mondiale per la pace) “in ogni epoca, la pace è insieme dono dall’alto e frutto di un impegno condiviso”, e c’è un “artigianato” della pace che coinvolge ognuno di noi in prima persona. Parole che introducono la “preoccupazione per le notizie che giungono dall’Ucraina” e l’invito del Santo Padre a pregare in silenzio affinché “sia fatto ogni sforzo per la pace”, espresso all’Angelus della scorsa domenica. Una richiesta di pace rilanciata dai vescovi italiani, che in una nota della Presidenza Cei ricordano: “È responsabilità di tutti, a cominciare dalle sedi politiche nazionali e internazionali, non solo scongiurare il ricorso alle armi, ma anche evitare ogni discorso di odio, ogni riferimento alla violenza, ogni forma di nazionalismo che porti conflitto. Non c’è più posto per le armi nella storia dell’umanità!”. La nota si chiude con un’invocazione alla Madonna di Zarvanytsia cara agli ucraini affinché sia risparmiato “un terribile flagello” e l’invito a tutte le Chiese d’Italia a pregare per la pace.
Un invito che l’Azione cattolica italiana raccoglie insieme al Forum internazionale di Ac chiedendo a tutti di aderire, a partire da mercoledì 16 febbraio, all’iniziativa “Un minuto per la pace”. Ogni giorno, ovunque ci troviamo, fermiamoci almeno un minuto, chiniamo il capo e preghiamo in comunione e nel silenzio dei cuori per la pace in Ucraina e in tutto il mondo. La pace è un bene troppo prezioso perché l’umanità vi rinunci.