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Sinodo, occasione di conversione

Da "Segno nel mondo". Il segretario generale di Ac traccia la rotta per il cammino sinodale dell'associazione, che ha raccolto l’invito di papa Francesco a essere “palestra di sinodalità”

«Dopo cinque anni la Chiesa italiana deve tornare al Convegno di Firenze e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare». Con questo pensiero espresso nel corso dell’incontro con i partecipanti al Convegno dell’Ufficio Catechistico nazionale del 30 gennaio 2021, papa Francesco ha riportato noi tutti al Convegno ecclesiale tenutosi a Firenze nel 2015. Proprio a Firenze aveva chiesto alla Chiesa italiana di attuare in modo sinodale l’Evangelii gaudium. Diceva: «In ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni Regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni». 

In sintesi, nella natura profetica della Evangelii gaudium c’è quanto basta per intraprendere la strada del Sinodo. È il momento di incominciare a camminare con la Parola che guida e l’Evangelii gaudium che indica la strada. 

Il Sinodo è un cammino, non va ridotto solo a un evento, e ciò significa fuggire dalla tentazione di sedersi, di fermarsi, orientandosi, piuttosto,  in modo permanente alla missione, con la postura del pellegrino, inviati a annunciare un Vangelo che è per tutti. L’immagine che evoca alla mia mente questa riflessione è quella del pellegrino con lo “zaino” in spalla, sempre pronto e proteso nella dinamica del movimento costante così ben sintetizzata in quel “si alzò e andò in fretta” che Maria ha vissuto in tutta la sua pienezza.

Negli Orientamenti triennali, guardando al cammino sinodale che è appena all’inizio, abbiamo individuato nell’ascolto, nella ricerca e nella proposta i cardini del metodo per i passi da compiere, consapevoli che, prima ancora che assumere decisioni o riformare le strutture, «fare sinodo è camminare insieme dietro al Signore e verso la gente, sotto la guida dello Spirito Santo», come ci ha detto papa Francesco al Consiglio nazionale dell’Ac il 30 aprile del 2021.

Fare sinodo, lungo il triennio

La presidenza nazionale vuole camminare con tutti ed accanto a tutti. Nel corso del triennio, questo si concretizzerà nel mettersi fisicamente in cammino per incontrare tutta l’associazione sul territorio, valorizzando il collegamento regionale e coinvolgendo il livello diocesano e parrocchiale. Il collegio assistenti, inoltre, ha pensato e promosso il progetto Sulla Stessa Barca, percorso di accompagnamento e condivisione per assistenti parrocchiali, diocesani e regionali; occasione di incontro e confronto sul territorio per maturare e rinsaldare uno stile di confronto continuo tra preti e laici. Proprio la scelta della corresponsabilità tra preti e laici può essere un peculiare contributo dell’Ac al percorso sinodale. Infatti, ritrovarsi come Chiesa sinodale in cammino può rappresentare un’occasione buona, per alimentare e rafforzare esperienze di amicizia, accompagnamento reciproco e corresponsabilità ecclesiale tra laici e presbiteri: il protagonismo laicale non deve diventare rivendicazione di spazi né confusione delle responsabilità, ma piuttosto desiderio di condividere il peso dello “zaino” sostenendosi nella fraternità e in secondo luogo capacità di accogliere le domande per ricercare insieme le risposte alla vita delle donne e degli uomini del nostro tempo.

Ma allora come metterci in cammino? 

Come Ac, raccogliendo l’invito di papa Francesco a essere “palestra di sinodalità”, ci stiamo chiedendo, ormai da tempo, come poter essere al servizio delle nostre comunità nel vivere questo cammino sinodale. Il valore alto di questo tempo per la Chiesa tutta (e all’interno di essa della vita associativa) sarà da valutare proprio a partire dalla sua capacità di essere un percorso a misura di tutti.

Siamo consci che anzitutto si tratta di individuare spazi di ascolto piuttosto che di ricerca di soluzioni rapide alle problematiche pastorali o di un ricettario di idee, calato dall’alto, e pronto all’uso. L’associazione intende promuovere un ascolto e un coinvolgimento profondo – capace cioè di cogliere e accogliere le storie, le ferite, le speranze, le domande, le proposte e le risorse di tutti – e, allo stesso tempo, ampio perché in grado di raggiungere tutti, evitando la “costruzione” di confini fisici e immateriali, figli dell’indifferenza e della chiusura. Ecco perché, è necessario vivere questo tempo non come evento che coinvolge esclusivamente gli addetti ai lavori, ma come percorso, volutamente lungo, che possa essere occasione per “liberare” gli spazi di partecipazione ecclesiale dalla chiusura, dall’autoreferenzialità e dal “si è fatto sempre così”. La popolarità è la lunghezza d’onda su cui registrare questo percorso: non è un’esperienza per pochi, per i bravi o solo per chi già c’è, ma per tutti.

L’ascolto sarà tanto più efficace se sapremo vivere questo tempo come occasione di conversione: la riforma delle prassi pastorali potrà essere effettiva solo se accompagnata da una conversione dei cuori. La disponibilità all’ascolto necessita di fare un lavoro su sè stessi, sia come persone che come realtà di laici associati: per ascoltare occorre imparare a muoverci verso gli altri, liberandoci da protezioni e formalismi, accettando obiezioni e critiche, non nascondendo le nostre debolezze. Perché proprio nella nostra debolezza si manifesta la forza che ci dona il Signore. 

Oltre la dimensione dello “spazio” che ogni percorso sinodale è chiamato per sua natura, a estendere, vi è la dimensione del “tempo”, di questo nostro particolare tempo. La pandemia ha certamente evidenziato e accelerato, portandoli a galla, le fragilità, i nodi, le trame di fondo, le fatiche e i cambiamenti della vita ecclesiale e sociale. Le tante fragilità personali – in una società fondata sulla comunità, ossia intrisa da un profondo senso di comunione – diventano di tutti, e quindi tutti chiamati a prendersene cura. L’Ac tutta è chiamata a vivere, con coraggio e sensibilità, questo tempo, abitando la vita ecclesiale e sociale con sguardo profetico. La presenza capillare dell’Ac sul territorio italiano ci rende strumento fondamentale per attuare quella sinodalità “dal basso” che papa Francesco ha molto a cuore, chiedendoci più volte di promuoverla nel nostro “essere chiesa in uscita”. 

Siamo consapevoli che per noi vivere il cammino sinodale significa valorizzare la nostra laicità, antidoto rispetto al peccato del clericalismo che spesso può essere un rischio che colpisce anche noi laici: la tentazione cioè di pensare, come ci ha ricordato Francesco, che «la promozione del laicato – davanti a tante necessità ecclesiali – passi per un maggiore coinvolgimento dei laici nelle “cose dei preti”, nella clericalizzazione». Proprio il clericalismo rischia di rafforzare l’idea di una Chiesa ripiegata sul passato e proiettata esclusivamente verso sé stessa. 

Invece l’Ac vuole essere sempre più impegnata nella costruzione di alleanze buone con altre realtà ecclesiali, con realtà istituzionali e del terzo settore. E allora, le differenze potranno diventare ricchezza da condividere e da vivere nella faticosa arte della sintesi, nel mettere insieme piuttosto che nel dividere. 

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