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Sino in cima

Cristo per essere accolto va condiviso prima che custodito. Va annunciato senza presunzioni, per essere servitori della comunione e della cultura dell’incontro.

Chiusi i balconi e riposte le chitarre, al tempo in cui ci sentivamo più vicini e più uniti, ci siamo ritrovati a dividerci, ieri come oggi, tra vax e no-vax, con lo spessore di spirito e di argomentazioni di una partita a calcetto.

Siamo tornati alle pulsioni e alle presunzioni di sempre. E allora, mentre il termometro continua a salire, proviamo a prenderci un po’ di tempo in queste lunghe giornate d’estate per andare controcorrente, per riflettere, senza l’ansia dei giorni feriali e cercando di portare lo sguardo in alto, sino in cima.

Diciamolo con sincerità, noi tutti (ma proprio tutti) siamo tentati molte volte di essere il centro dell’universo, di credere che siamo solo noi a costruire la nostra vita o che essa sia resa felice dal possedere, dai soldi, dal potere. Tutti sappiamo che non è così. Certo l’avere, il denaro, il potere possono dare un momento di ebbrezza, l’illusione di essere felici, ma, alla fine, sono essi che ci possiedono e ci spingono ad avere sempre di più, a non essere mai sazi. Una via di uscita a questo vortice di infelicità c’è e si chiama Cristo. La fede in lui è rivoluzionaria, perché spezza le catene della nostra umana povertà, ci libera e non delude mai.

Ma Cristo per essere accolto va condiviso prima che custodito. Va annunciato senza presunzioni, per essere servitori della comunione e della cultura dell’incontro. Non chiede tanto, basta contemplarlo, adorarlo e abbracciarlo nel quotidiano dell’Eucarestia e nelle persone più bisognose, più fragili; quelle che aspettano fuori dalla porta perché sono intimidite, spaventate, o, semplicemente, che nessuno ha mai invitato ad entrare. Quando ascoltiamo l’invito a rimanere con Cristo ricordiamoci che non ci è chiesto di isolarci ma di andare incontro agli altri, spesso senza andare troppo lontano, poiché il primo luogo in cui evangelizzare è la propria casa, l’ambiente di studio o di lavoro, la famiglia e gli amici.

Lasciamo, dunque, che Cristo entri nelle nostre vite e che da esse la sua Parola si dipani, germogliando e crescendo nelle vite di chi ci è dato incontrare lungo il nostro cammino terreno. Così ci capiterà – come per un grande miracolo – di essere costruttori “a nostra saputa” di una Chiesa più bella e di un mondo migliore. Poiché, come ci rammenta Marc Block – uno dei padri della storiografia moderna – ciascuno di noi è protagonista del suo tempo, ne ha la responsabilità. Le pagine che leggeremo domani sono il resoconto di ciò che sapremo scrivere oggi con la nostra vita, e la nostra fede. Il nostro pezzo di Storia viviamolo bene, come “pietre vive” su cui Cristo continua a rigenerare la sua Chiesa, facendone una casa accogliente e aperta a tutti.

Una casa che ha mura solide come quelle delle cattedrali ma anche “mura di vento”, leggere e in movimento perenne. Che come il vento è capace di arrivare fino alle periferie esistenziali, anche a chi sembra più lontano, più indifferente. Cristo cerca tutti, vuole che tutti sentano il calore della sua misericordia e del suo amore. Una Chiesa, un Popolo capace di superare gli egoismi, di sradicare le erbacce dell’intolleranza e dell’odio e di annunciare con coraggio il Vangelo.

Il premio e la Croce di Cristo, che carica sulle sue spalle le nostre croci e ci dice: coraggio! Non sarete soli a portarle. Come chi sale lungo il sentiero che porta su in cima alla montagna, ogni passo in più sarà faticoso ma allo stesso tempo più leggerò perché la meta è più vicina: un amore così grande che entra nel nostro peccato e lo perdona, entra nella nostra sofferenza e ci dona la forza per affrontarla, entra anche nella morte per vincerla e salvarci. Nella Croce di Cristo c’è tutto l’amore di Dio, c’è la sua immensa misericordia. E questo è un amore di cui possiamo fidarci; nel quale credere che la sofferenza e la morte non hanno l’ultima parola. Speranza e vita, sì.

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