«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tali scopo». Recita così l’art. 11 della Costituzione italiana, previsione nella quale i Padri fondatori vollero fissare il principio pacifista che, inserito tra quelli fondamentali (che non sono da circoscrivere ai soli primi dodici articoli), contribuisce a connotare la nostra Carta e ad imprimerne lo spirito.
Il Mese della Pace, che per l’Azione cattolica italiana è sempre un tempo da vivere con particolare intensità, ha offerto anche quest’anno l’occasione per soffermare l’attenzione sul rilievo costituzionale riconosciuto al valore della pace, uno dei tanti punti di contatto tra la nostra Carta fondamentale e il Vangelo (mi sia consentito questo accostamento, che ovviamente meriterebbe di essere meglio precisato e approfondito).
Come si sa, la nostra Carta è il frutto, il mirabile risultato finale di un faticoso cammino – quello della Resistenza – con il quale è stato possibile liberare il nostro Paese dalla dittatura; un processo che è stato volto a sanare le dolorose ferite della guerra, portare la democrazia e porre i presupposti perché il popolo italiano potesse vivere, da lì in poi, un tempo di pace e di prosperità. La Costituzione, la cui “impalcatura” si regge sulla centralità della persona, avrebbe dovuto favorire l’affermazione, primi fra tutti, dei valori di dignità, libertà ed eguaglianza – principali capisaldi della Carta – nella concretezza della vita quotidiana. Così è accaduto.
Il rango costituzionale attribuito al valore della pace, insieme agli altri che contribuiscono a “comporre” quella che potremmo definire l’etica pubblica repubblicana, è quindi da riconoscere nelle origini storiche della Costituzione italiana e nel sentimento antifascista che animò profondamente i framers.
L’intento dei Padri fondatori fu, infatti, quello di consegnare una Carta che avrebbe dovuto scongiurare un ritorno al nefasto passato e porre le basi per un tempo nuovo di ricostruzione, di serenità e di evoluzione della società. Il senso di quanto si sta dicendo si può riassumere nelle parole di Meuccio Ruini che, il 2 dicembre 1947, affermò: «in questo momento in cui tutto è in sussulto e tutto anela alla sicurezza, alla pace, alla ricostruzione; in questo momento la Repubblica sente il bisogno di una Costituzione, che rappresenta per lei qualche cosa di più saldo, qualche cosa che esce dal provvisorio, qualche cosa che è auspicio e fiducia che anche tutto l’altro sarà vittoriosamente consolidato».
Lo spazio a disposizione non consente una approfondita analisi dei lavori preparatori (ai quali comunque si accennerà ancora) e così conviene che si dica ora qualche parola sull’art. 11 Cost., precisando però che il principio pacifista che in quest’ultima previsione trova espressa affermazione è invero ricavabile anche da altri articoli della Carta e, direi, fa da sfondo all’intera trama costituzionale.
Come si evince dal testo dell’articolo, il Costituente volle escludere che la nascente Repubblica democratica potesse considerare la guerra un mezzo da prendere in considerazione per offendere gli altri Stati; in altre parole, il nostro Paese, duramente colpito dalla guerra e divenuto vittima di gravissime offese, non si sarebbe dovuto macchiare di una medesima responsabilità. Ricorrere alla guerra, quindi, non sarebbe dovuto essere il modo per risolvere le controversie, pur sempre possibili, con gli altri Paesi; venne quindi preferita, dal Costituente, la via del dialogo quale strumento per dirimere i conflitti.
Quale necessario corollario del ripudio della guerra, i Padri vollero “incastonare” nell’art. 11 Cost., alla cui redazione partecipò in modo rilevante anche Giuseppe Dossetti, i valori della pace e della giustizia tra le Nazioni, quali “pietre preziose” da custodire ed obiettivi da perseguire. Al tempo stesso, come si nota, assistiamo alla valorizzazione della libertà degli altri popoli (… e di tutti gli altri popoli, in una prospettiva che potremmo definire “ecumenica”).
In quest’ottica, allora, la pace e la giustizia apparvero ai Costituenti così preziose da accettare, finanche, e «in condizioni di parità con gli altri Stati», possibili «limitazioni di sovranità» che, insieme al territorio e al popolo, è uno dei tre elementi costitutivi dello Stato.
Come affermò Ruini, «contro ogni minaccia di rinascente nazionalismo, la nostra costituzione si riallaccia a ciò che rappresenta non soltanto le più pure tradizioni ma anche lo storico e concreto interesse dell’Italia: il rispetto dei valori internazionali». Il democristiano Terranova, invece, mise in luce i «tre punti che, in armonia con la dottrina della Chiesa, costituiscono i pilastri per il mantenimento della pace e cioè: proscrizione della guerra di aggressione; necessità di formare un valido ordinamento per la garanzia della pace, ed infine, esigenza di considerare la società dei popoli come una sola unità morale e politica».
Infine, un altro esponente della Dc, Tupini, discorrendo della formulazione dell’articolo, auspicò: «Dio voglia che questa non sia soltanto una generosa utopia del nostro popolo, ma una aspirazione comune a tutta l’umanità, dopo la tremenda lezione dell’ultimo conflitto. Pace fra i popoli, ma anche pace fra il popolo italiano». Sembra interessante notare che l’obiettivo non fosse solo quello di instaurare un tempo di pace con gli altri popoli, ma anche quello di porre le basi per una pacificazione della società italiana.
Come dimostra il richiamo alle «organizzazioni internazionali», questo articolo era stato originariamente pensato per favorire l’adesione dell’Italia alla Nato e all’Onu; operando una interpretazione estensiva, la Consulta ha rintracciato nell’art. 11 Cost. il fondamento costituzionale anche del diritto dell’Unione europea, considerando quest’ultima tra quelle organizzazioni volte a favorire la pace e la giustizia tra le Nazioni (non è un caso che, da quando è stata istituita l’Ue, i Paesi membri non siano stati più interessati da conflitti bellici).
Da quanto detto si evince come la pace sia una meta a cui tendere non solo come credenti ma, in generale, come cittadini. Infatti, se la Costituzione è quella “carta” che regola e rende possibile la convivenza, non si può fare a meno di ricorrere continuamente ad essa ed avere chiari gli obiettivi che la stessa chiede al popolo italiano di perseguire nella quotidianità; sì, perché la Costituzione non si limita a proclamare, ma impegna tutti noi a realizzare i valori che in essa sono iscritti. La pace, appunto, è uno di questi.
L’autore è Presidente diocesano dell’Azione cattolica di Messina Lipari S. Lucia del Mela. Docente di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Messina. Fa parte del Gruppo di Lavoro RUS (Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile) “Inclusione e Giustizia Sociale”. È autore di diverse pubblicazioni aventi ad oggetto la tutela dei diritti fondamentali, la giustizia costituzionale, i rapporti tra diritto esterno e diritto interno.