Oggi, 3 ottobre, ricorre l’ottavo anniversario del naufragio avvenuto in prossimità di Lampedusa dove persero la vita 368 migranti. In ricordo di questa tragedia, è stata istituita, dal 2016, la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione. Da quel 3 ottobre 2013 si stima che più di 30.000 persone abbiano perso la vita nella rotta del Mediterraneo centrale che divide la Libia dall’Italia, rendendola la rotta migratoria più pericolosa al mondo. Dopo un’iniziale movimento di solidarietà in seguito alle prime tragedie avvenute nel Mediterraneo, negli ultimi anni l’opinione pubblica e il dibattito mediatico si sono purtroppo progressivamente allontanati dall’idea che salvare vite umane nel Mediterraneo sia la priorità assoluta. Nonostante la diminuzione dei flussi e il calo degli arrivi, il fenomeno degli arrivi via mare continua a costituire un’emergenza in termini umanitari che non può essere ignorata. Né possiamo pensare la soluzione sia il memorandum Italia-Libia del 2017, e cioè finanziare la cosiddetta “Guardia Costiera Libica” continuando a delegare alla Libia quella che viene fatta passare come un’azione per la sicurezza dei confini e la lotta all’immigrazione clandestina, ma che si concretizza di fatto con il respingimento di migliaia di esseri umani poi ammassati nei centri di detenzione dove si muore come in mare, si viene torturati e in seguito rimessi nelle mani dei trafficanti.
La questione delle migrazioni è al tempo stesso la più drammatica e la più decisiva della nostra epoca; drammatica perché generatrice di profonde sofferenze; decisiva per la pace e perché su di essa si gioca il nostro futuro. Dal modo in cui sapremo porci dentro la questione dipenderà ciò che saremo nel prossimo futuro. La storia non si ferma chiudendo portoni. L’Azione Cattolica da sempre impegnata attraverso le sue associazioni territoriali a sostegno e in aiuto dei migranti e delle popolazioni locali che spesso da sole si fanno carico della loro accoglienza, con gratuità e carità cristiana, non smetterà mai di chiedere che si agisca e subito oltre l’emergenza. La comunità internazionale tutta ha il dovere di supplire alla precarietà e alla fragilità dei migranti e dei loro paesi di origine accompagnando il viaggio di chi fugge e proteggendo tutti da abusi e violazioni di diritti. Un compito quest’ultimo a cui tutti siamo chiamati poiché spetta a ciascuno di noi la responsabilità della salvaguardia dei diritti umani e il dovere della solidarietà per tutte quelle persone la cui vicenda storica non possiamo ignorare. Come cristiani abbiamo il dovere di vedere in ogni persona umana l’inalienabile dignità della creatura che porta in sé l’immagine di Dio.
Qualcosa di molto grande si presenta nei volti di chi scappa dalla guerra o dalla fame, rischiando la vita. Qualcosa di molto grande hanno negli occhi quelli che, venendo dall’Africa, avvistano la linea piatta e rocciosa di Lampedusa all’orizzonte, e ringraziano Dio con la fronte china sulla tolda, o aprendo piccoli vangeli fradici d’acqua di mare. Quel qualcosa è la storia. È il presentarsi alle soglie d’Europa di gente sfiancata che domanda di vivere. Quante centinaia di altre volte nei secoli nuovi popoli si sono affacciati alle frontiere, cercando terra e cibo: la storia d’Occidente è stata fabbricata così.
A questo appuntamento con la storia, l’Europa non può mancare. E non solo per umanità ma per sé, per misurare se stessa e darsi un volto, in questa alba del terzo millennio: quel volto che dovrà mostrare ai suoi figli, in un’eredità da continuare. Il volto di un’unità, che è ben di più di una unificazione. Per quest’ultima bastano i trattati e le convenzioni; per l’unità ci vuole ben altro, ci vuole un’anima comune.
La storia bussa, anche questo 3 ottobre, come una domanda, a Lampedusa e non solo. L’Europa guarda altrove, in altro affaccendata, distratta. Diceva Robert Schuman, uno dei padri dell’Europa rinata dalla guerra: «L’Europa sarà cristiana, o non sarà». Profezia? L’appuntamento con la storia è ancora sulle sponde del Mediterraneo; su questo mare in cui dormono per sempre, senza un nome, uomini, e donne, e bambini.