Certo, la morte in sé è una livella, come scriveva Totò. Perché la morte non ha memoria, non ne ha bisogno. I vivi, invece, sì. I vivi devono avere memoria, ne hanno bisogno se non vogliono essere morti.
Penso a come in questo nostro Paese si faccia presto a cancellare la memoria di ciò che è stato. Penso al continuo, ostinato quanto vigliacco dire che chi ha combattuto per la libertà, per la nostra libertà, per ciò che troppo spesso diamo per scontato, chi ha sacrificato la propria giovinezza e la vita per liberarci dal giogo fascista e dal suo alleato nazista, chi è caduto tra i vigneti delle Langhe, sul sentiero di una Baita o sulle spiagge di Cefalonia con il coraggio del no, sia uguale in morte e in vita a chi in quella stessa Italia ha servito i signori della morte, a chi è stato dalla parte delle camere a gas e dei forni crematori.
Mi chiedo: che insegnamento è questo per le giovani generazioni? Che cosa si vuole dire a chi sta crescendo? Forse che, se un domani dovessimo essere chiamati, ancora una volta, a scegliere da che parte stare, ebbene, non importerebbe fare una scelta, perché le parti sarebbero uguali, indistinte, indifferenti, come in un cattivo minestrone? Che non sarà importante lottare per la propria e l’altrui libertà, la propria e l’altrui dignità di uomini, perché tanto poi verrà di certo qualcuno a dirci come oggi che i morti sono tutti uguali, che le ragioni degli uni e degli altri sono ugualmente degne, hanno lo stesso valore e significato?
Temo che il messaggio sia questo. Temo anche che un giorno verranno a dirci che Aldo Moro, Vittorio Bachelet, Guido Rossa, Walter Tobagi, i morti della stazione di Bologna e di Piazza della Loggia, le tante, troppe vittime per la libertà, la democrazia, i diritti di ciascuno e di tutti sono uguali ai loro assassini.
Mai come quest’anno il 25 aprile, Festa della Liberazione di tutti, è da festeggiare. Tanta è la colpa di ciascuno nel aver permesso che questo Paese si sforzasse di perdere la sua memoria, la sua verità. Sta alla coscienza di ognuno di noi rispondere di questo. Per intanto, la storia è tornata a bussare alle nostre porte e a ricordarci che ciò che è stato può ancora essere, che non avere memoria del passato significa pregiudicare il proprio futuro.
Eppure, con l’eccezione delle cerimonie ufficiali non si può non avere notato come le televisioni nazionali abbiano quasi completamente cancellato dai palinsesti la Festa della Liberazione. In questi giorni, solo chi ha la fortuna di poter guardare RaiStoria (e in parte Rai3), e l’ha fatto, ha avuto la possibilità di rivedere e riascoltare un pezzo della nostra memoria, della memoria d’Italia. Volti e voci di una generazione di protagonisti e testimoni dell’“ultimo risorgimento” che piano piano scompare con il passare degli anni. Per tutti gli altri il solito menù, il solito minestrone, la solita televisione.
Come sottolineato di recente dallo storico Alessandro Barbero: «La Seconda guerra mondiale ha rappresentato il momento in cui si è capito che il sistema secondo cui l’uomo forte comanda e il popolo ubbidisce porta alla catastrofe, all’orrore, alla distruzione totale e che la democrazia, con tutti i suoi difetti, è invece l’unico sistema che crea un “riparo” per tutti. Il 25 aprile del 1945 è il giorno in cui ufficialmente si è capito che in Italia saremmo stati una democrazia e non una dittatura ed è questo che bisogna continuare a ricordare adesso e per sempre».