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La profezia della pace nell’oltraggio alla giustizia

C’è bisogno della forza per fermare la violenza, e insieme della non violenza per fermare ogni conflitto sanguinoso. La forza deve salvare le vittime di oggi, la nonviolenza deve metterci in guardia dalle vittime di domani

Ci sono alcuni momenti cruciali nella storia, quasi sempre – ahimé – fatti di lacrime e sangue, rispetto ai quali non possiamo esitare, restare indifferenti o addirittura prendere abbagli madornali. A volte si tratta di eventi improvvisi (come una pandemia da coronavirus), a volte di azioni premeditate, come un atto di guerra, frutto di processi lenti e complessi dei quali ci è sfuggito il movimento e la direzione. 

Ciò che conta, in entrambi i casi, è impostare una riflessione partendo dal lato giusto. E il lato giusto è la morte ingiusta di vittime innocenti: nel caso dell’aggressione militare all’Ucraina, le vittime sono uomini, donne, bambini, cittadini di uno Stato democratico legittimamente costituito, che nel 1991 aveva votato per l’indipendenza del proprio Paese con una maggioranza del 91% e che in 30 anni ha avuto sei presidenti democraticamente eletti, a fronte di un dittatore a vita, che è al potere da 22 anni.

Uomini, donne, bambini inermi sventrati dalle bombe, gettati in fosse comuni, separati violentemente dai propri cari, che a loro volta sono stati bombardati, affamati, privati della casa, del cibo, dei diritti più elementari di autodeterminazione, contro ogni principio etico e di diritto internazionale. Su quest’ultimo aspetto si possono leggere le considerazioni documentate e obiettive di Sabino Cassese e di Sandro Calvani.

Se non si parte dall’ingiustizia patita, ogni altra strada che si prende diventa equivoca e fuorviante. C’è un tratto antropologico inquietante che accomuna i “no-vax” di fronte alla pandemia, e i “no-Russia-no-Ucraina” di fronte all’invasione ordinata da Putin; l’analogia più immediata è l’assoluta indifferenza dinanzi alle vittime. Raramente negli atteggiamenti negazionisti ho sentito piangere i morti, avvicinarsi con empatia e compassione alla schiera interminabile di vittime innocenti; ancor più raramente, si sente il timbro della compassione nella prosopopea dei sapientoni, che cercano pretesti nei massacri del Donbass (come prima si cercavano nei laboratori cinesi), per dichiararsi fuori.  

Un singolare partito trasversale, per fortuna minoritario, anche se molto attivo sui social, che è fatto non solo di gente comune, ma anche di intellettuali, giornalisti, uomini politici; persino scienziati, preti, vescovi e qualche patriarca che forse non stanno al posto giusto. La tesi che li accomuna parrebbe sempre la stessa: le cose non stanno come vi vengono raccontate, c’è chi approfitta di eventi tutto sommato marginali, gonfiandoli e stravolgendoli per imporvi sacrifici e restrizioni da cui “loro” (che forse ne sono i veri responsabili) trarranno i più grandi benefici.

Nessuno dimentica l’equivoco lasciapassare agitato dai “benaltristi”, che trovano sempre un alibi per non essere dalla parte di nessuno: “Né con lo Stato né con le Brigate Rosse”. Ieri si è sentito qualcosa di analogo: “Né con la Cina né con l’Organizzazione Mondiale della Sanità”; e oggi: “Né con la Russia né con l’Ucraina”. Cecità e risentimento sono alla base di un mix letale di indifferenza individualistica, sempre pronta a cercare un capro espiatorio oppure a minimizzare ostinatamente quanto sta accadendo. 

Nel caso della pandemia il grande alibi era fabbricato in nome delle libertà individuali, che non dovrebbero piegarsi a nessuna ragione comunitaria; oggi si è trovata un’altra bandiera dietro cui rifugiarsi: il pacifismo. 

Ma la pace è un valore troppo alto ed esigente, e non può essere usato per legittimare l’ingiustizia e diventare la maschera più odiosamente opportunistica del menefreghismo. Almeno per tre ragioni fondamentali:

* Anzitutto, non si può piantare l’albero della pace sul terreno paludoso di un egoismo rozzo e viscerale, digiuno di nozioni fondamentali di etica pubblica, geopolitica, diritto internazionale, fermo a un mix di stereotipi datati, fatti di nazionalismo e antiamericanismo vecchia maniera, ammantati di false sicurezze e privi delle categorie interpretative adatte alla novità della situazione che stiamo vivendo.

Il fenomeno della vera e propria guerra di aggressione che si sta consumando in Ucraina, senza essere stata dichiarata (essendo semplicemente una “operazione militare speciale”), porta allo scoperto questi macroscopici limiti di analisi storica, che esigerebbero un ben altro spirito di umiltà, di ascolto e di attenzione. L’equilibrio è una grande virtù dei saggi, l’equilibrismo è il vizio degli opportunisti. 

* In secondo luogo, non si può difendere la pace senza riuscire a  distinguere la forza dalla violenza. La violenza è abuso di una forza ingiusta (e per questo illegittima), la forza è l’uso proporzionato di un diritto di resistenza, che non deve mai trasformare la difesa legittima in eccesso di legittima difesa. In questo difficile discernimento solo una istituzione terza (l’Onu o altre organizzazioni internazionali) può interporsi e impedire sconfinamenti da una parte e dall’altra. Senza tutto questo, dichiararsi equidistanti tra l’aggressore e l’aggredito, mettendo sullo stesso piano il carnefice e la vittima, significa solo una cosa: complicità con il più forte. È esattamente quello che accade quando vediamo un omone che sta stuprando una ragazza e tiriamo dritti, in nome della neutralità!

* Infine, una parola di apprezzamento verso il vero pacifismo: quello di chi crede nella non violenza ed è disposto a pagare di persona per testimoniarla. Il testimone autentico di pace è capace di gesti profetici, che possono apparire nell’immediato follemente irrazionali e inconcludenti, ma che invece ricordano, nel momento in cui tutti se ne stanno dimenticando, che bisogna guardare più lontano, essere meno miopi e più lungimiranti, creare le condizioni perché domani si possa rileggere insieme quello che è accaduto come una follia indegna dell’umanità, da cui dovremo lasciarci ammaestrare. 

Per questo c’è bisogno della forza per fermare la violenza, e insieme della non violenza per fermare ogni conflitto sanguinoso. La forza deve salvare le vittime di oggi, la nonviolenza deve metterci in guardia dalle vittime di domani. 

Senza dimenticare le conseguenze mostruose che abbiamo dovuto pagare per aver sottovalutato l’escalation hitleriana, oggi siamo messi drammaticamente di fronte a questa altalena tra impegno e disimpegno. L’unica cosa che non possiamo fare è far finta di niente e voltarci da un’altra parte. La storia ci guarda.

Luigi Alici è professore emerito di Filosofia morale. È stato Presidente nazionale dell’Ac dal 2005 al 2008. ll testo proposto è pubblicato sul suo blog, Dialogando.

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