Il dibattito sul contributo dei cattolici alla vita politica del Paese (puoi leggere e scaricare l’articolo in pdf cliccando qui) da un lato ci sembra procedere in modo stanco e ripetitivo, con lampi di lucidissima analisi che si mescolano a rimpianti, nostalgie e qualche luogo comune; dall’altro produce improvvisamente alcune fiammate che farebbero pensare che qualcosa sta per accadere …ma poi non accade. Nel mentre osserviamo l’intreccio di varie orbite che formano una galassia interessata al tema: chi nella politica e nell’amministrazione è immerso vivendola in prima persona, chi osserva la politica da appassionato ma con una forte inclinazione più alla formulazione di teorie che all’ambizione di pratiche. E ancora chi cammina in associazioni e movimenti ecclesiali e si lascia interrogare dalle domande che abitano questo nostro tempo, cimentandosi tra speranze e disillusioni, buona volontà e delusioni, visioni e velleità. Osserviamo contemporaneamente che sono ancora tante le personalità rappresentative del cattolicesimo democratico, generate da una lunga stagione di elaborazione culturale e di formazione, che raccolgono nel Paese – e nella politica stessa – grande stima e fiducia. Pensiamo al riferimento che rappresenta per i cittadini Sergio Mattarella. Pensiamo al tributo trasversale e sincero riconosciuto al compianto David Sassoli. Pensiamo anche ai diversi nomi che sono stati accostati alla presidenza della Repubblica. È come se l’opinione pubblica riconoscesse ancora la necessità, per il Paese e le istituzioni, di stili politici e alti profili seriamente orientati al dialogo, al primato del bene comune e al senso di responsabilità. Ma al contempo, sembra affievolirsi alle loro spalle un movimento sufficientemente vivace da far considerare certi stili, certi contenuti, certi metodi come “normali”, “possibili” e non “eccezionali”. Eppure di persone che si muovono in questo solco, penso soprattutto nelle amministrazioni locali, ce ne sono tante, più di quante osiamo immaginare: ma le loro appaiono spesso come belle testimonianze personali, isolate, che non hanno possibilità di essere raccordate dentro una dialettica democratica sempre più asfittica e retorica, astratta ed appiattita sul presentismo smemorato dei social.
È perciò necessario, prima che il cattolicesimo democratico divenga solo e unicamente oggetto di studio storico, chiederci cosa sia possibile fare, come laici credenti, ciascuno per la propria parte e secondo la propria vocazione, perché questa cultura politica maturata con le istituzioni repubblicane possa essere declinata al presente e al futuro.
Vorremmo assumerci l’onere di porre la questione dentro e fuori gli ambiti associativi, non avendo timore di sperimentare e di innovare, accettando la parzialità di azioni che comunque dovranno fare i conti sempre con il “principio del non appagamento”! E soprattutto dobbiamo rimuovere (e piuttosto in fretta!) quel pesante pregiudizio che tormenta i laici impegnati nella Chiesa e che rischia di apparire come tattica neutralità: liberi da “anarchismo e zelotismo” (Oscar Cullmann, Dio e Cesare, editrice Ave, 1996, p.121), “schierati” sempre sotto le parti, in compagnia dei più fragili e vulnerabili, instancabili tessitori di dialogo e ascolto attivo e critico delle buone ragioni pacificamente argomentate, con uno sguardo che va in profondità e che si allarga sempre al mondo. Con una pandemia che continua a preoccuparci, con una guerra in terra d’Europa, è il caso di dire che è questo il tempo per coltivare nuove visioni di futuro e “organizzare la Speranza” (espressione del servo di Dio don Tonino Bello che è più volte risuonata durante la 49esima Settimana sociale dei cattolici italiani tenutasi a Taranto).
Nel ringraziare le persone che hanno offerto dei primi elementi di riflessione in questo numero di Segno, vorrei offrire tre spunti di riflessione che sintetizzerei con tre moniti: non sopravvalutiamoci; non sminuiamoci; resistiamo alla tentazione “del protagonismo solitario”.
Non sopravvalutiamoci. Non prendiamola a male, ma se vogliamo davvero rientrare con spessore nel dibattito politico dobbiamo, come laici credenti, essere più umili. Dismettere, insomma, quell’aria da chi ha soluzioni in tasca e grandi valori che altri non hanno. Troppo spesso sopravvalutiamo i nostri dibattiti interni, pensiamo siano il centro del mondo e la chiave del futuro mentre in realtà già stentano a circolare tra di noi. Ci autoconsoliamo pensandoci “minoranze creative”, ma in realtà ci parliamo troppo addosso. E poi incolpiamo partiti e leader di “non dare spazio”, come se in politica lo “spazio” fosse un tappeto rosso che altri devono stendere senza che si trovi il coraggio di misurarsi con il cuore della politica in democrazia, ovvero la ricerca del consenso.
Non sminuiamoci. Allo stesso tempo, non buttiamoci giù, non riteniamo di essere meno di ciò che realmente siamo. Le idee, le intuizioni, le profezie e anche le pratiche concrete che circolano nel tessuto ecclesiale – e nei mondi con cui riusciamo a dialogare positivamente – non sono né irrilevanti né insignificanti. Nonostante le indubbie debolezze che ha cumulato il laicato cattolico nell’ultima fase di storia del Paese, continuano a circolare competenze, visioni, prospettive che hanno una forte potenzialità politica. Nel mentre dobbiamo evitare di sopravvalutarci, quindi, evitiamo anche di dire di non avere nulla tra le mani, perché non è vero.
Non è più tempo di solisti isolati. In tanti, in troppi, hanno completamente rinunciato ad un’idea di politica e di impegno politico che è anche impegno comunitario, con una comunità, insieme ad altri. Fare da soli diventa quindi l’autoassoluzione di tanti portatori di cose belle, ma a titolo esclusivamente individuale. Questa rinuncia a fare rete, ad unire le forze, a costruire relazioni non è solo della politica in generale e “degli altri”, ma è anche, dobbiamo dirlo, una rinuncia nostra. Motivo per cui riusciamo in un’impresa illogica: trasformare persino la passione sociale in una passione impregnata di individualismo che rischia di apparire un protagonismo solitario.
In questi ultimi anni abbiamo percepito che l’associazione ci chiede di affrontare con coraggio e intraprendenza questo tema, ritrovando nella nostra scelta religiosa una formidabile sorgente. Ci sentiamo responsabili dei tanti ragazzi e giovanissimi che oggi desiderano affrontare e discutere i temi e i nodi di ciò che riguarda il nostro vivere insieme. Condividiamo il bisogno di tanti giovani e adulti di confrontarsi senza fretta e superficialità. Sentiamo l’incoraggiamento dei tanti aderenti impegnati che ci chiedono accompagnamento e approfondimento. E per quanto appartiene alla nostra responsabilità, provare a dare un “presente” alla radice del cattolicesimo democratico. Qualificando la formazione ordinaria, innanzitutto, che troppo spesso rischia di considerare opzionale la dimensione sociale che nel Progetto formativo chiamiamo “Responsabilità”, unita in un filo rosso alla “Fraternità”.
Occorre moltiplicare le opportunità di formazione specifica in ambito politico, sociale, economico, culturale a tutti i livelli territoriali in cui l’associazione agisce. E soprattutto iniziare un serio lavoro di studio, riflessione e discernimento comunitario perché l’intenso Magistero di papa Francesco, inscritto nella cornice del Concilio Vaticano II e della Dottrina sociale della Chiesa, possa essere la leva di un rinnovato impegno personale e comunitario che accompagni coraggiosamente questa fase di transizione ecologica e trasformazione sociale.