«Dalla fase narrativa passiamo a quella sapienziale: così il card. Matteo Zuppi a proposito del cammino sinodale della Chiesa italiana, nella sua introduzione ai lavori dell’Assemblea generale della Cei in corso in Vaticano. Occasione per un primo bilancio e per indicare future direzioni per un ulteriore tratto di strada: «Le tante attese che l’incontro suscita chiedono la rivisitazione di tanti nostri modi, un cambio di paradigma per incontrare, ascoltare, prendere sul serio, stabilire relazioni personali nelle quali tutti dobbiamo essere coinvolti».
Il Cammino sinodale: procede, con qualche iniziale fatica
Non «la freddezza del funzionario», dunque, ma neanche «l’omologazione». «Non possiamo nascondere – ha ricordato il presidente dei vescovi italiani – che in questa prima fase del Cammino sinodale sono emerse fatiche, in vari ambiti e per varie ragioni: alcune diocesi avevano appena celebrato o erano in piena celebrazione di un Sinodo diocesano e si sono trovate quindi già avanti nel percorso, dovendo aspettare tutti gli altri; alcuni hanno chiesto chiarimenti o hanno persino avanzato dubbi sulla opportunità dello strumento sinodale stesso per affrontare i nodi della vita della Chiesa odierna. Dobbiamo registrare – ha aggiunto – alcune difficoltà nei nostri presbiteri, che ovviamente ci devono far riflettere. Il processo, però, è avviato e procede, grazie alla dedizione di tanti, tra i quali menziono la Presidenza e il Comitato del Cammino sinodale, presieduto da Mons. Erio Castellucci. I referenti diocesani hanno svolto un ruolo decisivo e promettente».
Agire con discernimento e preghiera
Per il futuro l’arcivescovo di Bologna ha chiesto di agire con discernimento e preghiera: «Quali domande esigono da noi una decisione saggia?». In altri termini «serve uno stile di vita personale forgiato sulla Parola di Dio». Il cammino sinodale, ha detto Zuppi, «ci educa al discernimento e alla lettura dei segni dei tempi. Insieme: spesso una coscienza isolata non arriva a vedere dove invece giunge uno sguardo comunitario e sinodale». Oggi perciò, occorre lo spirito missionario di Paolo, «quella capacità di abbattere i muri dell’abitudine, di incontrare audacemente persone e mondi nuovi ed entrare in relazione con il “popolo numeroso” delle nostre città».
Per l’Italia: politiche lungimiranti su famiglia, la natalità e accoglienza
Parlando a nome di tutti i vescovi italiani il card. Zuppi ha invocato «politiche lungimiranti” per quanto riguarda la famiglia, la natalità, l’accoglienza («accoglienza e natalità non si contrappongono», ha detto). Inoltre, «è triste la società della paura. Chiudere le porte a chi bussa è, alla fine, nella stessa logica di chi non fa spazio alla vita nella propria casa». E ha ricordato come «la vita per crescere e generare vita, ha bisogno di casa e di lavoro», denunciando la logica del lavoro povero e della precarietà. C’è inoltre bisogno di casa a costi accessibili. La protesta degli studenti è perciò «una spia significativa di un più vasto disagio silenzioso».
Su famiglia e natalità il cardinale ha ricordato come secondo alcuni demografi l’Italia sia un paese in estinzione. Che fare, dunque? «La questione demografica e tutte le questioni sociali meritano attenzione e politiche lungimiranti. È sbagliato contrapporre o separare valori etici e valori sociali: sono la stessa cultura della vita che sgorga dal Vangelo! La cultura della vita sa che essa nasce e cresce nella famiglia e che tutto non dipende dal proprio volere soggettivo che arriva a giustificare la cosiddetta maternità surrogata, che utilizza la donna, spesso povera, per realizzare il desiderio altrui di genitorialità». Il presidente della Cei ha voluto sottolineare inoltre il «rinnovato impegno» contro gli abusi sui minori, da affrontare «senza opacità, ingenuità, complicità e giustizialismi».
Contro tutte le mafie, nel nome di San Giovanni Paolo II e del Beato Rosario Livatino
Parlando di lotta alla mafia e la necessità dell’educazione alla legalità, nel giorno dell’anniversario della strage di Capaci, il card. Zuppi ha anche commemorato il trentesimo anniversario del discorso di San Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi ad Agrigento, ispirato dall’incontro con i genitori del beato Rosario Livatino. «Le mafie – ha sottolineato – non sono scomparse oggi, anzi si sono estese al Centro-Nord, dove prosperano largamente anche con metodi e volti in parte mutati». Quindi «c’è bisogno di una coscienza più ampia del pericolo. Dove il tessuto sociale è slabbrato, lo Stato lontano, la gente sola, disperata, povera, la scuola indebolita, c’è terreno di crescita per le mafie. La Chiesa, comunità viva e generosa, resiste alla forza disgregativa. Non siamo il resto del passato, ma – con i nostri limiti – operiamo per la liberazione dal male e siamo nel cuore dello slancio dell’Italia verso il futuro».
Riforme istituzionali: recuperre lo spirito costituente
Sulle riforme istituzionali, per il presidente della Cei «decisivo è il metodo. Per cambiare la Costituzione è necessario ritrovare uno spirito costituente, come fu nel Dopoguerra, in cui tutte le parti sentirono la responsabilità comune». Per questo «un primo banco di prova, come dichiarò il Consiglio Permanente nel settembre scorso, è una legge elettorale adeguata e condivisa».
I cristiani siano tutti operatori di pace, ancora più nella tempesta
Sulla pace Zuppi ha notato: «Per noi la pace non è solo un auspicio, ma è la realtà stessa della Chiesa, che germina – come il segno di pace – dall’Eucaristia e dal Vangelo. La Chiesa e i cristiani credono nella pace, siamo chiamati a essere tutti operatori di pace, ancora di più nella tempesta terribile dei conflitti. Durante la Seconda Guerra mondiale la Chiesa era tra la gente e sul territorio. Proprio tra pochi giorni ricorderemo i sessant’anni della morte di San Giovanni XXIII, che visse due guerre e attualizzò con efficacia il messaggio pacifico della fede con la Pacem in terris, cominciando a rivolgersi agli “uomini di buona volontà”. Siamo il popolo della pace, a partire da Gesù che è la nostra pace. Lo siamo per la storia del nostro Paese, per la sua collocazione nel Mediterraneo, cerniera tra Nord e Sud, ma anche tra Est e Ovest. Lo siamo – mi sembra – per le radici più profonde e caratteristiche del nostro popolo. Come cristiani italiani, con il Papa, siamo chiamati a una fervente e insistente preghiera per la pace in Ucraina e perché “si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace” (Pacem in terris, 91). Preghino tutte le nostre comunità intensamente per la pace! L’impegno di intercessione cambia la storia, come diceva Giorgio La Pira. C’è una cultura di pace tra la gente da generare e fortificare».