La vostra laicità è ricchezza per la cattolicità della Chiesa, che vuole essere lievito, sale della terra e luce del mondo. In occasione dell’incontro con i delegati della XVII Assemblea nazionale dell’Azione cattolica italiana, Francesco ha affermato che la Chiesa ha bisogno di laici per non rischiare di essere autoreferenziale. Per il pontefice il compito dei laici è sostenere la comunità cristiana nel suo ridefinirsi in modo sinodale e missionario. In primo luogo, accogliendo senza timidezze e remore l’invito alla conversione pastorale: il sogno di una Chiesa più espansiva e aperta. E in costante atteggiamento di “uscita”, che esige una rielaborazione di schemi e metodologie che fanno della pastorale un sistema statico e chiuso.
I laici si sono trovati di fronte al dilemma tra la via di un’operosa disponibilità al servizio di una trasformazione paziente e quotidiana al di dentro delle strutture e dei progetti, e quella di un appassionato e insofferente esercizio critico, che esige un cambiamento ben più radicale, in senso evangelico, per avvicinare la pastorale alla vita delle persone. Entrambe le strade possono avere dei rischi che Francesco ha identificato nella forma attuale di due antiche eresie: il pelagianesimo e lo gnosticismo. Il primo mimetizzato tra organigrammi strutturati e calendari soffocanti, il secondo mascherato da autocompiacimento intellettuale. La profezia, invece, è mitezza perseverante e lungimirante, impegnata a promuovere il passo in avanti di tutta la comunità, piuttosto che accontentarsi di solitarie fughe in avanti.
Le nostre comunità ecclesiali hanno bisogno di laici capaci di portare la vita del mondo all’interno della pastorale, modellando ogni espressione liturgica, catechetica e caritativa perché sia capace di parlare alla vita delle persone attraverso segni e gesti inclusivi e accoglienti. Il tempo che stiamo vivendo è caratterizzato da precarietà del presente e incertezza del futuro. La pandemia e i suoi drammatici effetti ne hanno di fatto rivelato la natura e la matrice. La vulnerabilità sociale ed economica e la crisi delle istituzioni democratiche iniziano già molto prima della diffusione del Covid. Sono il sintomo di una cultura individualista e utilitarista, alimentata da un modello economico competitivo, orientato al successo e al profitto.
Parlare oggi dell’attualità e dell’importanza del contributo dei laici nella vita della Chiesa significa porsi sul crinale di una transizione in atto che pone molti e urgenti interrogativi alle comunità cristiane. Si avverte il bisogno di un cambiamento di rotta a livello politico, ambientale, sociale ed economico. Cresce il bisogno di recuperare la dimensione relazionale e profonda che costituisce la persona, il bisogno di luoghi e tempi per fare sintesi. I laici cristiani hanno, oggi, un grande compito culturale e spirituale insieme: testimoniare e narrare attraverso la vita il valore della fraternità.
Stiamo vivendo una crisi profonda che chiederà di immaginare nuove forme istituzionali, cui i cristiani potranno contribuire rileggendo, in profondità, le forme più autentiche della vita comunitaria: la generatività e l’apertura alla vita, la condivisione dei beni e delle risorse, l’impegno di tutti per la città, l’attenzione ai più poveri e ai deboli perché nessuno rimanga escluso.
Guardiamo con fiducia e speranza l’avvio di un percorso sinodale della Chiesa italiana. Così anche la Settimana sociale dei cattolici (Taranto, 21-24 ottobre 2021). Oltre all’intensificarsi di “alleanze” tra aggregazioni laicali per progetti educativi e sociali in comune, recuperando il valore del “gareggiare a stimarsi a vicenda”. I laici sono chiamati ad assumere il compito di ciò che don Tonino Bello chiamava «l’organizzazione della speranza» per «pensare e generare un mondo aperto».
Presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana. Articolo pubblicato sulla rivista «Vita Pastorale» (n.9 – ottobre 2021), il mensile per operatori pastorali edito dalla San Paolo.