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Guardando al futuro, con sguardo di donna

Il XLII Convegno Bachelet ha dato la parola alla presenza femminile nella Chiesa e nella società. Due giorni di intensa riflessione, per prendersi cura del mondo che cambia

Le donne. La loro responsabilità nella Chiesa e nella storia del Paese. È nel segno di Armida Barelli, prossima beata il 30 aprile, che si prova  a comprendere il cammino passato, e immaginare quello futuro, riguardo il ruolo delle donne all’interno della comunità ecclesiale e civile italiana. D’altronde, il magistero di papa Francesco, così ricco di riferimenti alla vocazione femminile, spinge a un ulteriore impulso in questo senso.

Fondatrice della Gioventù femminile di Azione cattolica e dell’Opera della Regalità, promotrice della nascita dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, figura fondamentale del laicato cattolico in Italia tra XIX e XX secolo, Armida Barelli è testimone di una santità vissuta nel quotidiano, esempio per tante donne e precorritrice di una presenza attiva dei laici nella vita della Chiesa.

«Abbiamo bisogno di riprendere la militanza – spiega Emanuela Gitto, vice presidente nazionale per il settore Giovani di Ac, introducendo i lavori del XLII Convegno Bachelet, Prendersi cura. La responsabilità delle donne nella Chiesa e nella società, svoltosi a Roma l’11 e 12 febbraio e promosso dall’Azione cattolica italiana e dall’Istituto per lo studio dei problemi sociali e politici “Vittorio Bachelet” –. In questo senso, viviamo un grande divario tra Unione Europea e Italia:  mentre tutte le principali istituzioni europee sono guidate da donne, in Italia non riusciamo a “normalizzare” l’impegno delle donne in politica a tal punto. Cosa manca? Negli ultimi anni l’attenzione all’inclusione e alla partecipazione delle donne ha visto accrescere una rinnovata sensibilità mediatica. Eppure, se facciamo un focus sulle realtà più vicine e circoscritte, è un’altra la realtà a cui assistiamo: pensiamo ai casi di violenza domestica consumati nel periodo della pandemia, le molestie, i femminicidi, al fenomeno della tratta».

E allora: quale eredità raccogliamo dalla testimonianza di Armida Barelli? Qual è stato e qual è il ruolo e la responsabilità delle donne nella vita del Paese? E ancora, cosa vuol dire prendersi cura?

Molti sono gli apporti e le eredità che la Barelli lascia all’Ac e con essa alla Chiesa e al mondo femminile. La sua biografia attraversa la modernità. Insieme alla biografie di ciò che hanno dato i movimenti femminili alla vita del Paese (Cecilia Dau Novelli, Università di Cagliari).  «Una vera e propria “rivoluzione” – riflette Ernesto Preziosi, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e divulgatore della storia del movimento cattolico in Italia – che vede le donne come protagoniste lungo i decenni centrali del ‘900 assurgere alla ribalta con una considerazione inedita nella Chiesa e nella società. Di questo più complessivo e generale movimento, Armida Barelli è stata artefice e animatrice con un apporto originale, capace di operare una evoluzione nella fedeltà, che ha coinvolto centinaia di migliaia di giovani donne».

E oggi, le donne, cosa possono dare al mondo di oggi? Se ne è occupato un vivace dibattito “tra donne” nella seconda giornata dei lavori, coordinato da Pina De Simone, direttore di Dialoghi, con la presenza di Raffaela Iafrate, Valentina Soncini, Silvia Landra, Irene Bongiovanni, Daniela Mazzuconi e Simona Segoloni Ruta, che hanno portato il loro entusiasmo e le loro competenze nel campo teologico, politico, scolastico, universitario, medico, sociale. Imparare dal lavoro e dalla passione delle donne, è già un primo passo per cambiare le cose.

Per Rosy Bindi, che ha concluso i lavori, «il femminile esiste e forse bisognerebbe un po’ formare il “maschile”. Soprattutto se vogliamo salvare le donne dalla violenza». E la cura deve diventare il centro della nostra vita e dello stare insieme. Prendersi cura è fare buona politica. «E prendersi cura soprattutto delle moltitudini».

Un percorso ideale di coraggio e impegno questo delle donne, che Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale dell’Ac, collega alla memoria di Vittorio Bachelet. «Fare memoria di Vittorio Bachelet è per tutti noi lasciarci iniziare da una “persona-sorgente” – per utilizzare una felice espressione del teologo gesuita Christoph Theobald che nella sua recente Lettera sul futuro del cristianesimo ricorda come ci siano persone spirituali la cui adesione totale al Cristo traccia quella rete di relazioni vitali e nuove che esprimono continuamente e contemporaneamente la novità e l’attualità dell’Evangelo. Quella rete di relazioni vitali e nuove che Paolo Giuntella chiamava il “gomitolo dell’Alleluja”».

Perché fare memoria è anche prendersi cura. «Chi fa un giusto lavoro di cura – ha affermato Luigina Mortari, docente di pedagogia dell’Università di Verona – è capace di un grande rispetto dell’altro, sa mettersi a disposizione. Sono capacità politiche. Al contrario di quanto sostengono alcuni teorici, la cura è politica. La buona politica è cura e diventa etica perché è etica delle virtù. Da parte di chi riceve cura, la virtù da agire è la gratitudine. La parola che ringrazia mette in evidenza l’atto politico».

Per un ulteriore approfondimento:

Qui si può guardare il video dei lavori di venerdì 11 febbraio

Qui il video di sabato 12 febbraio

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