«La nostra fede non è un’ideologia, non è una cultura, non è una filosofia, ma storia della salvezza, storia che passa anche attraverso la vicenda concreta di un popolo che ha i suoi tormenti oscuri, i suoi tradimenti, i suoi vitelli d’oro, i suoi fedelissimi all’alleanza e le sue fedeltà, i suoi profeti e i suoi santi, i suoi cantautori, i suoi pittori e i suoi risciacquatori di piatti, una storia di biografie e non di ideologie. Ecco perché l’educazione cristiana, la catechesi, è il tramandare, il “raccontare”, una Parola che si è fatta carne, che ha assunto un nome, in un popolo immenso di nomi…». Ancora non si è spenta l’eco mediatica – ma anche personale, di ognuno di noi, collettiva, autenticamente cristiana – dell’addio a David Sassòli, che ci vengono in aiuto queste parole di Paolo Giuntella, maestro e amico proprio dell’ex Presidente del Parlamento europeo, racchiuse in un libello davvero prezioso che Ave ha pubblicato in una nuova edizione nel 2009, Il gomitolo dell’alleluja. Di padre in figlio il filo della fede, con una prefazione proprio di Sassòli.
La storia della Salvezza è una storia di biografie, non impossibili da emulare, ma possibilissime, ordinarie, quotidiane. Paolo Giuntella ce lo ha raccontato in tanti libri, articoli, conferenze, riunioni parrocchiali, ritiri spirituali, quasi fosse un’ossessione: come faremo a trasmettere questo tesoro transitato per biografie, come faremo a raccontare ciò che ci è stato trasmesso, in un tempo storico, come quello che stiamo vivendo, dominato dalla comunicazione istantanea e dalla scomparsa del racconto della memoria dalle agenzie educative e dalle nostre reti ecclesiali?
Attraverso, appunto, il racconto della fede. Di quel tizzone ardente della fede che passa per la storia personale dei testimoni di speranza e dei cantori dell’alleluja. Nell’elenco suggeritoci da Giuntella c’è ne è per tutti i gusti, e chi ha letto i suoi scritti sa quanto questo elenco spesso sconfini oltre la pagina di un libro: santi, intellettuali, giornalisti, teologi, politici, vescovi, preti e suore, donne e uomini di ogni latitudine, una moltitudine di persone “normali”, musicisti – non a caso la collana diretta per le Paoline sottotitolava proprio così: Rock & soul, la roccia e l’anima, le radici e il futuro, tracce di sentiero per cercare risposte alle sfide del nostro tempo –, letterati, santi e umili “personaggi” della porta accanto, direbbe don Tonino Bello, artisti, matti e folli di Dio. Un tizzone ardente che si trasmette di padre in figlio non solo con il racconto orante, con la Parola sacra letta, spiegata e ruminata in famiglia (tra i consigli pratici presenti nel Gomitolo, ci viene suggerito come dovremmo abituare le generazioni più giovani ad avere una propria familiarità con la Bibbia, così come debbano diventare nomi e luoghi familiari quasi quanto la propria città, Israele, il Libano, Gerusalemme, il Giordano), ma anche e soprattutto nelle opere dimenticate, le famose sette opere di misericordia, quelle che alcune volte abbiamo pensato, sbagliando, fossero precettistica preconciliare, invece erano e sono il centro della vita cristiana: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, visitare gli ammalati, alloggiare i pellegrini, visitare i carcerati, seppellire i morti.
Il racconto appunto, di una biografia di un popolo che si mette a servizio della buona notizia.
Ripensando così alla biografia di David Sassòli, alla sua mitezza cristiana che è entrata improvvisamente nelle case degli italiani dopo la sua morte e che non è solo bontà, sorriso e buone maniere, ma esercizio quotidiano della radicalità e profezia evangelica, ci rendiamo conto di quanto possiamo riconoscere, sia in vita che dopo la morte, questo tizzone ardente della fede che è passato per mani buone, e dove risieda la profezia e la forza d’amare. «I testimoni – continua sempre Giuntella, questa volta ne Il Fiore rosso (Paoline) – sono le donne e gli uomini della grande danza, del riso, del fuoco, le avanguardie del grande corteo dell’umanità, della marcia verso la terra promessa, dei canti e del vino della liberazione dalla morte, del peccato come esperienza del male e del limite, del dolore, dallo scandalo dell’ingiustizia e della sofferenza».
Ecco perché, oggi, saper riconoscere queste biografie possibili, e saperle raccontare, di nuovo, con più passione e fedeltà alle Beatitudini, con più coraggio, sorriso e un po’ di sana allegria per la “buona notizia”, diventa il viaggio che potremmo fare in questo Esodo dal sentiero incerto.
La nostra terra promessa, nella terra di nessuno.