di Paola Fratini e Paolo Seghedoni*- «Quale tipo di umanità vogliamo essere, quale terra vogliamo abitare, quale mondo vogliamo costruire». Papa Francesco ha detto queste parole all’Azione Cattolica il 30 aprile 2021 parlando al Consiglio nazionale dell’associazione, riprendendo il tema dell’ecologia integrale nel solco tracciato con le ultime encicliche. Un solco che in realtà viene da molto più lontano e che ritroviamo anche nella ormai prossima Settimana Sociale di Taranto che ha come titolo “Il pianeta che vogliamo”. E allora la domanda che dobbiamo porci in prima battuta è: quale terra vogliamo abitare? E, appunto, quale pianeta vogliamo? Quello di chi, magari a volte rischiando di essere un po’ ingenuo (ma non è forse meglio ingenui che disillusi…) manifesta per politiche ambientali e sociali più giuste o quello di chi, con un malcelato velo di cinismo, ha già deciso che non c’è nulla da fare e tende a vivere il più comodo possibile per quanto sarà possibile?
Non si tratta, in modo semplicistico, di fare riferimento alla “sola” questione ambientale, che mettiamo tra virgolette perché già di per sé questo tema ha implicazioni enormi. Ma, dato che è ormai chiarissimo a tutti (tranne, forse, a più o meno sparute minoranze da una parte e dall’altra) che tutto si tiene insieme, la terra che vogliamo abitare deve essere pensata unendo le questioni sociali e quelle ambientali, e deve essere permeata dall’idea di uomo e dal rapporto col creato.
Ci viene incontro una riflessione contenuta nel libro La tela sfregiata scritto un paio d’anni fa dall’arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi, mons. Erio Castellucci. La terra che abitiamo, osserva il vicepresidente della Cei, è stata considerata per troppo tempo una cava (da saccheggiare a piacimento per soddisfare una crescita, senza rispetto per l’ambiente e la natura) e una cassa (da far fruttare economicamente, a vantaggio peraltro dei già ricchi e dei cinici di cui si parlava in precedenza) e non una casa da abitare insieme, una casa con un giardino da custodire. E, non a caso, mons. Castellucci riporta al tema antropologico: l’homo faber è colui che tenta di sfruttare la natura come una cava di materiali, l’homo oeconomicus, vi attinge come a una cassa continua. L’integrazione è l’homo sapiens, capace di sfruttare la propria intelligenza per custodire il creato come casa comune, pensando alla propria generazione e a quelle successive. E quale è la sapienza richiesta oggi? È la fraternità: l’uomo de futuro sarà l’homo frater, oppure homo demens, che finirà per distruggere completamente la stupenda tela che il Creatore gli ha consegnato.
La chiave della fraternità, del riconoscersi sorelle e fratelli nella stessa umanità e al tempo stesso insieme custodi del creato e custoditi dal creato, è fondamentale e consente di allargare lo sguardo oltre a orizzonti limitati e poco lungimiranti, a volte anche quando la buona volontà non manca. Tenere insieme bene comune e casa comune: è questa la sfida che ci pone il tempo che viviamo.
È dunque sempre più netta la necessità di ri-dare una coscienza allo sviluppo tecnologico e a quello tecnocratico, con il passaggio da una cultura “egocentrica” a una cultura “eccentrica”, seguendo il magistero di papa Francesco. Una cultura che ha il centro fuori di sé e che considera la vita, e non solo quella umana, un dono.
Vicepresidenti nazionali dell’Ac per il Settore Adulti