Da Firenze a Taranto. Dal convegno ecclesiale con la sua richiesta di conversione per un “nuovo umanesimo” alla Settimana sociale con il suo manifesto/appello a costruire alleanze per salvaguardare la casa comune, l’unica che abbiamo, attraverso le strade della conversione ecologica, economica e sociale. Il magistero di Francesco continua a tessere trama e ordito di una Chiesa inquieta perché non si rassegna difronte all’ingiustizia, alle disuguaglianze, alle ferite che gli uomini hanno inferto al pianeta; concretamente “in uscita” sulle gambe dei suoi pastori e dei suoi laici e impegnata a offrire vie di rigenerazione; per l’anima certo ma anche per il corpo, inteso come sinonimo di storia, quella che ciascuno di noi vive con le sue fatiche, miserie e speranze. Poiché “incidentati” siano tutti, poiché la Chiesa è lì che deve essere, nella vita vera, a costo di ferirsi e di sporcarsi. Perché solo così può essere testimone e annuncio della gioia del Vangelo,
È qualcosa che, grazie alla condivisione di esperienze e progetti, si è vissuto qui a Taranto. Un popolo in cammino con uno zaino pieno di “buone pratiche” da offrire a chiunque voglia farne tesoro, capace di abitare relazioni e proporre alleanze a chiunque abbia la buona volontà di farsi carico di un comune destino, andando incontro alle esigenze dei vari territori. Consapevoli che l’abitare i luoghi, per il cattolico, è anzitutto un “farsi abitare da Cristo”, perché solo a partire da qui può essere fatto spazio all’altro.
Si tratta di un cammino che la Chiesa italiana ha compiuto e che sta compiendo, con risultati concreti e incisivi, anche se essi non sempre sono conosciuti a sufficienza. Un cammino che poggia sulla dinamicità del saper ascoltare, del saper lasciare spazio, del saper accogliere, del saper accompagnare e infine del saper costruire alleanze. Un cammino che anche nelle giornate dell’assise di Taranto ha incrociato il passo delle fragilità del mondo di oggi, che richiedono attiva attenzione: quelle dei bambini e degli anziani, ad esempio; quelle di coloro che hanno perso il lavoro e, in generale, dei poveri; quelle degli immigrati, alla ricerca di quel futuro che nelle loro terre d’origine è loro negato; quelle di chi vive un disorientamento psicologico ed esistenziale; quella, insomma, di tutti coloro che sono messi ai margini di un mondo che è impietoso nei confronti di chi non si uniforma alle proprie strutture economiche e sociali.
Fare i conti con il mondo non significa limitarsi al gesto, pur importantissimo, del dare: bisogna far emergere la dignità delle persone, bisogna metterle in grado di sentirsi utili, di sentirsi in grado di restituire qualcosa di ciò che hanno ricevuto. Una relazione buona, un’accoglienza vera, non sono semplice assistenzialismo. Ecco perché accogliere significa anche, sempre, accompagnare e fare alleanza. Accompagnare le persone che hanno bisogno di noi; accompagnarle nelle difficoltà, nella malattia, anche nella morte. E tutto questo nei luoghi in cui viviamo tutti i giorni. Dando concretezza a ciò che a Firenze venne definito come “pastorale del condominio”. Costruendo alleanze nei luoghi in cui studiamo, lavoriamo, viviamo i nostri impegni e il nostro tempo libero, nei nostri spazi reali e negli ambienti virtuali. Con l’agire di Gesù. Un cristianesimo vissuto a tutti i livelli e testimoniato quotidianamente, nella trasparenza dei comportamenti.
Tutto questo è politica, anche politica. Con la P maiuscola e nell’accezione montiniana, intesa come forma più alta di Carità. Si tratta della necessità di ripensare l’impegno a favore della propria comunità partendo dal basso. Si tratta di ripensare la politica e di farlo in una chiave che sia davvero comunitaria. Tradotto: non bisogna semplicemente delegare e poi disinteressarsi di ciò che viene deciso in nostro nome. Bisogna accompagnare i decisori, che sono i nostri rappresentanti; non bisogna lasciarli soli. Una nuova capacità di abitare le relazioni – un “nuovo umanesimo” – si collega e si esprime anche nella partecipazione e nell’impegno per una vera cittadinanza attiva.
Da Firenze a Taranto, ciò che emerso è la pienezza dello stile sinodale, nel pieno del cammino sinodale intrapreso dalla Chiesa universale e da quella italiana in particolare. Qualcuno ha detto: la Chiesa o è sinodale o non è Chiesa. Lo si è sperimentato e verificato anche durante la Settimana sociale. Uno stile che è “lievito madre” per le nostre comunità, se sapremo farlo nostro. Lasciandoci accompagnare dalle parole dell’esortazione Evangelii gaudium, delle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti, e da tutto il magistero di gesti e parole di Francesco in generale. Solo immergendoci in questo solco potremo seminare e continuare a far crescere i giorni di una Chiesa “sul passo degli ultimi”; una Chiesa capace di mettere in cattedra i poveri, i malati, i disabili, le famiglie ferite; una Chiesa capace di abitare il tempo in umiltà, avviando percorsi di condivisione, e rendendo così ciascuno destinatario e soggetto di formazione e missione. Una Chiesa che è Vangelo vissuto e non solo predicato.