Venerdì 30 aprile, il Consiglio nazionale dell’Azione cattolica italiana è stato ricevuto in udienza da Papa Francesco, in occasione della XVII Assemblea nazionale dell’Ac.
Un discorso denso, di fiducia verso l’Ac e di speranza per un futuro dove l’impegno dei laici è in prima linea a servizio della Chiesa e del Paese. «Il vostro contributo più prezioso potrà giungere, ancora una volta – ha detto Papa Francesco – dalla vostra laicità, che è un antidoto all’autoreferenzialità. Fare sinodo non è guardarsi allo specchio. È camminare insieme dietro al Signore e verso la gente, sotto la guida dello Spirito Santo. Laicità è anche un antidoto all’astrattezza: un percorso sinodale deve condurre a fare delle scelte. E queste scelte, per essere praticabili, devono partire dalla realtà, non dalle tre o quattro idee che sono alla moda o che sono uscite nella discussione»
In questa pagina speciale, il comunicato stampa dell’Ac, i saluti di Matteo Truffelli e mons. Sigismondi al Papa, il discorso di Papa Francesco, un articolo sull’evento e una galleria di foto.
Nella mattinata di venerdì 30 aprile, il Consiglio nazionale di Azione cattolica italiana è stato ricevuto in udienza da papa Francesco.
Il Consiglio nazionale, in rappresentanza dei soci di Ac presenti in 5400 parrocchie e in tutte le diocesi d’Italia, con i suoi 7000 sacerdoti assistenti, ha consegnato al Papa la voce di questo popolo. Proprio in questi giorni, infatti, l’Azione cattolica con i suoi 800 delegati, sta celebrando la sua XVII Assemblea nazionale, dal titolo Ho un popolo numeroso in questa città, in modalità on line.
«Sappiamo di essere “analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli” (Ft 64) – è il saluto del presidente nazionale di Ac, Matteo Truffelli – eppure desideriamo, anche in un tempo difficile come questo, “accettare la sfida di sognare e pensare insieme ad un’altra umanità” (Ft 127)».
«Vogliamo tentare, insieme, di leggere in profondità il tempo che stiamo vivendo per trovare dentro di esso i sentieri da percorrere verso la realizzazione di un’autentica conversione missionaria. Per partecipare alla costruzione di una società più giusta, più solidale, più umana».
«L’Azione Cattolica – ha concluso Truffelli – è fatta di uomini e donne di ogni età, provenienza territoriale, appartenenza sociale e formazione culturale, che desiderano camminare gli uni con gli altri per condividere la bellezza della comune vocazione alla santità e all’apostolato. In ascolto reciproco e in ascolto del tempo che abitiamo. È questo il nostro modo, semplice ma appassionato, di vivere la corresponsabilità laicale. Ed è ciò che abbiamo da donare alla Chiesa italiana, anche per sostenerla nel cammino sinodale che la attende.
Carissimo Papa Francesco, l’Azione Cattolica tutta, tutti i ragazzi, i giovani, gli adulti e gli anziani che ne fanno parte ti vogliono bene, ti seguono con gratitudine e fiducia, e pregano per te».
Al saluto di Truffelli, ha fatto seguito quello dell’assistente ecclesiastico generale, mons. Gualtiero Sigismondi: «Mi permetto soltanto di richiamare un’immagine che riesce ad abbracciare la “famiglia bella e grande dell’Ac”. Si tratta di un’immagine suggerita da Paolo VI, il 20 maggio 1978, a don Antonio Tigli, allora assistente centrale di Acr. Questa la sua testimonianza, resa molti anni dopo: “Invitato a salutare il Papa, ebbi la fortuna di ascoltare alcune sue parole che sono rimaste scolpite nel cuore come impegno e servizio. Inginocchiato davanti a lui, mi chiese di voltarmi verso l’aula e con voce ferma mi disse: ‘Sia un buon giardiniere di questo prato meraviglioso’. Le sue mani stringevano forti le mie. A distanza di anni, molti particolari sono sfocati, ma lo sguardo, il sorriso, lo slancio, le parole del Papa, quelli no”.
Padre Santo, la Sua Benedizione ci aiuti a riconoscere che siamo “servi inutili”: giardinieri, non padroni del giardino; “manovali, non capomastri”».
Il discorso di papa Francesco al Consiglio nazionale parte dalle tre parole, azione, cattolica e italiana.
1. Azione. «Possiamo chiederci cosa significa questa parola “azione” – dice papa Francesco – e soprattutto di chi è l’azione. L’ultimo capitolo del Vangelo di Marco, dopo aver raccontato l’apparizione di Gesù agli Apostoli e l’invito che Egli rivolse loro ad andare in tutto il mondo e proclamare il Vangelo ad ogni creatura, si conclude con questa affermazione: «Il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (16,20). Di chi è dunque l’azione? Il Vangelo ci assicura che l’agire appartiene al Signore: è Lui che ne ha l’esclusiva, camminando “in incognito” nella storia che abitiamo.
Ricordare questo non ci deresponsabilizza, ma ci riporta alla nostra identità di discepoli-missionari. Infatti il racconto di Marco aggiunge subito dopo che i discepoli «partirono» prontamente «e predicarono dappertutto» (ibid.). Ricordare che l’azione appartiene al Signore permette però di non perdere mai di vista che è lo Spirito la sorgente della missione: la sua presenza è causa – e non effetto – della missione. Permette di tenere sempre ben presente che «la nostra capacità viene da Dio» (2 Cor 3,5); che la storia è guidata dall’amore del Signore e noi ne siamo co-protagonisti. Anche i vostri programmi, pertanto, si propongono di ritrovare e annunciare nella storia i segni della bontà del Signore.
La pandemia ha mandato all’aria tanti progetti, ha chiesto a ciascuno di confrontarsi con l’imprevisto. Accogliere l’imprevisto, invece che ignorarlo o respingerlo, significa restare docili allo Spirito e, soprattutto, fedeli alla vita degli uomini e delle donne del nostro tempo».
L’evangelista sottolinea che Gesù “confermava la Parola con i segni”. Cosa significa? Che ciò che mettiamo in atto ha una precisa origine: l’ascolto e l’accoglienza del Vangelo. Ma vuol dire anche che ci dev’essere un legame forte tra ciò che si ascolta e ciò che si vive. Vi invito allora a far sì che la ricerca di una sintesi tra Parola e vita, che rende la fede un’esperienza incarnata, continui a caratterizzare i percorsi formativi dell’Azione Cattolica».
«Quali caratteristiche deve avere l’azione, l’opera dell’Azione Cattolica? Direi prima di tutto la gratuità. La spinta missionaria non si colloca nella logica della conquista ma in quella del dono. La gratuità, frutto maturo del dono di sé, vi chiede di dedicarvi alle vostre comunità locali, assumendo la responsabilità dell’annuncio; vi domanda di ascoltare i vostri territori, sentendone i bisogni, intrecciando relazioni fraterne. La storia della vostra Associazione è fatta di tanti “santi della porta accanto”, ed è una storia che deve continuare: la santità è eredità da custodire e vocazione da accogliere.
Una seconda caratteristica del vostro agire che vorrei sottolineare è quella dell’umiltà, della mitezza. La Chiesa è grata all’Associazione a cui appartenete, perché la vostra presenza spesso non fa rumore, ma è una presenza fedele, generosa, responsabile. Umiltà e mitezza sono le chiavi per vivere il servizio, non per occupare spazi ma per avviare processi. Sono contento perché in questi anni avete preso sul serio la strada indicata da Evangelii gaudium. Continuate lungo questa strada: c’è ancora tanto cammino da fare!
2. Cattolica
«La parola “cattolica” si può dunque tradurre con l’espressione “farsi prossimo”. Il tempo della pandemia, che ha chiesto e tuttora domanda di accettare forme di distanziamento, ha reso ancora più evidente il valore della vicinanza fraterna: tra le persone, tra le generazioni, tra i territori. Essere associazione è proprio un modo per esprimere questo desiderio di vivere e di credere insieme. Attraverso il vostro essere associazione, oggi testimoniate che la distanza non può mai diventare indifferenza, non può mai tradursi in estraneità.
Potete fare molto in questo campo, proprio perché siete un’associazione di laici. È ancora diffusa la tentazione di pensare che la promozione del laicato – davanti a tante necessità ecclesiali – passi per un maggiore coinvolgimento dei laici nelle “cose dei preti”. Con il rischio che si finisca per clericalizzare i laici. Ma voi, per essere valorizzati, non avete bisogno di diventare qualcosa di diverso da quello che siete per il Battesimo. La vostra laicità è ricchezza per la cattolicità della Chiesa, che vuole essere lievito, “sale della terra e luce del mondo”.
In particolare, voi laici di Azione Cattolica potete aiutare la Chiesa tutta e la società a ripensare insieme quale tipo di umanità vogliamo essere, quale terra vogliamo abitare, quale mondo vogliamo costruire. Anche voi siete chiamati a portare un contributo originale alla realizzazione di una nuova “ecologia integrale”: con le vostre competenze, la vostra passione, la vostra responsabilità».
3. Italiana
«Il terzo termine è “italiana”. La vostra Associazione è sempre stata inserita nella storia italiana e aiuta la Chiesa in Italia ad essere generatrice di speranza per tutto il vostro Paese. Voi potete aiutare la comunità ecclesiale ad essere fermento di dialogo nella società, nello stile che ho indicato al Convegno di Firenze. E la Chiesa italiana riprenderà, in questa Assemblea [dei Vescovi] di maggio, il Convegno di Firenze, per toglierlo dalla tentazione di archiviarlo, e lo farà alla luce del cammino sinodale che incomincerà la Chiesa italiana, che non sappiamo come finirà e non sappiamo le cose che verranno fuori. Il cammino sinodale, che incomincerà da ogni comunità cristiana, dal basso, dal basso, dal basso fino all’alto. E la luce, dall’alto al basso, sarà il Convegno di Firenze».
«Una Chiesa del dialogo è una Chiesa sinodale, che si pone insieme in ascolto dello Spirito e di quella voce di Dio che ci raggiunge attraverso il grido dei poveri e della terra. In effetti, quello sinodale non è tanto un piano da programmare e da realizzare, ma anzitutto uno stile da incarnare».
«In questo senso la vostra Associazione costituisce una “palestra” di sinodalità, e questa vostra attitudine è stata e potrà continuare ad essere un’importante risorsa per la Chiesa italiana, che si sta interrogando su come maturare questo stile in tutti i suoi livelli. Dialogo, discussione, ricerche, ma con lo Spirito Santo».
«Il vostro contributo più prezioso potrà giungere, ancora una volta, dalla vostra laicità, che è un antidoto all’autoreferenzialità. È curioso: quando non si vive la laicità vera nella Chiesa, si cade nell’autoreferenzialità. Fare sinodo non è guardarsi allo specchio, neppure guardare la diocesi o la Conferenza episcopale, no, non è questo. È camminare insieme dietro al Signore e verso la gente, sotto la guida dello Spirito Santo. Laicità è anche un antidoto all’astrattezza: un percorso sinodale deve condurre a fare delle scelte. E queste scelte, per essere praticabili, devono partire dalla realtà, non dalle tre o quattro idee che sono alla moda o che sono uscite nella discussione. Non per lasciarla così com’è, la realtà, no, evidentemente, ma per provare a incidere in essa, per farla crescere nella linea dello Spirito Santo, per trasformarla secondo il progetto del Regno di Dio».