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Chiesa e Comunità Costruire comunità. Giuseppe Notarstefano presidente di Azione Cattolica nell’orizzonte del Sinodo

L’Azione Cattolica, al termine di un intenso percorso assembleare, ha un nuovo presidente nazionale. Giuseppe Notarstefano, 51 anni, ricercatore di Statistica economica alla Lumsa di Palermo, dove vive, con una lunga esperienza associativa in consiglio nazionale per l’Acr e poi nel settore adulti. Lo conosciamo già: è un amico di questa radio, dove lo abbiamo incontrato tante volte. Ai microfoni di Chiesa e comunità racconta come vive questo passaggio di servizio nell’orizzonte ormai prossimo del cammino sinodale che la Chiesa italiana si prepara a fare innestato nel grande orizzonte del Sinodo dei vescovi che partirà a ottobre prossimo.

Come hai vissuto questa nuova possibilità di camminare dentro l’associazione come Presidente nazionale?

Vivo questo momento con un duplice sentimento. 

Da un lato, una grande emozione perché, pur avendo ricoperto ruoli di responsabilità a livello nazionale con i ragazzi e gli adulti, questo nuovo compito è particolarmente impegnativo e allo stesso tempo evocativo di figure meravigliose, che hanno avuto un ruolo importante nel mio percorso di crescita personale e in quello di tutta l’associazione e del Paese. 

Dall’altro lato, un senso di inadeguatezza, dovuto alla consapevolezza dei miei limiti personali. Bisogna però guardare oltre. È questo lo spazio della Grazia, che si manifesta anche attraverso la grande partecipazione mostrata dall’associazione, e non solo. In tantissimi mi hanno scritto per farmi gli auguri e mettersi a disposizione, per rinnovare la loro adesione all’Azione Cattolica e al percorso che stiamo facendo. Ho ricevuto molti messaggi anche da altre associazioni e realtà, amici, colleghi e persone che in questi anni ho incontrato soprattutto praticando il mondo del sociale, che è quello a me più caro. Mi sento quindi trasportato da questa marea di entusiasmo, che mi solleva e mi fa sentire meno solo, perché inserito dentro un “noi” più grande. 

Questo tempo di cammino sinodale che si apre per la Chiesa italiana sfida in modo particolare l’Azione Cattolica come associazione di laici. Tu cominci il tuo servizio proprio in questo momento. Quale contributo potrà esserci da parte dell’AC, e quali attese nei confronti di questo cammino che inizia proprio ora dentro il più grande cammino del Sinodo dei Vescovi?

Per me e per tutta l’associazione è molto significativo e simbolico che il passaggio di consegne avvenga proprio nel momento in cui la Chiesa italiana si apre a questo percorso sinodale, come è stato più volte sottolineato dall’Assemblea dei Vescovi e ribadito nell’intervista rilasciata recentemente da S.E. Mons. Castellucci, neo-Vicepresidente della Cei per il Nord. 

Non un evento, dunque, ma un cammino sinodale, un percorso che viviamo come associazione anche a partire da quanto ci ha detto il Papa durante l’udienza concessa il 30 aprile al Consiglio nazionale dell’AC. In quella occasione il Santo Padre ha riconosciuto all’associazione il suo essere “palestra di sinodalità”: un luogo, cioè, dove ci si esercita alla sinodalità, all’ascolto reciproco. Un ascolto che matura attraverso l’incontro tra le diverse generazioni, le diverse condizioni di vita, le diverse aree del Paese, le diverse realtà culturali, le diverse vocazioni. 

Il riconoscimento da parte del Santo Padre ci impegna a essere sempre più un’esperienza di sinodalità, per metterci a servizio di questo cammino sinodale della Chiesa. Vogliamo farlo soprattutto continuando a prenderci cura delle vulnerabilità, delle marginalità, delle periferie esistenziali, come tre anni fa il Papa ci aveva incoraggiato a fare. Vorremmo che tutti potessero partecipare a questo cammino sinodale, a partire dai più piccoli, i bambini, i ragazzi, i giovani, ma anche da coloro che vivono situazioni di disagio e sono talvolta esclusi dalla comunità civile. Vorremmo che tutti fossero messi in grado di prendere parte a questo grande percorso di discernimento ecclesiale. 

Certamente c’è un grande entusiasmo che sta maturando, e che ho avuto modo di registrare in questi giorni, riguardo al collegamento tra l’avvio del cammino sinodale e l’inizio del nuovo triennio dell’AC, con l’elezione del Presidente e quella della nuova Presidenza che avverrà tra qualche giorno. Credo che sarà questo il binario su cui viaggerà la locomotiva associativa. 

L’Azione Cattolica è certamente palestra di sinodalità anche per la chiarezza delle posizioni e la libertà di parola dentro la comunità ecclesiale. Mi sembra che questo possa essere decisivo nel Sinodo, perché la comunione non è annullamento delle differenze, ma la parresia, il parlarsi chiaramente per poi ascoltare insieme la voce dello Spirito. Ci sono delle perplessità su questo cammino. Tu senti che sarà assicurata una correttezza da questo punto di vista, e cioè che tutte le posizioni potranno trovare ascolto?

Indubbiamente è un cammino che richiede anche una metodologia di lavoro, che per certi versi è stata già sperimentata dalla Chiesa italiana. Vorrei ricordare due “buone pratiche” che abbiamo vissuto: la preparazione della celebrazione del Convegno di Firenze e il percorso delle Settimane sociali, che ben conosco, avendo avuto la gioia e l’onore di far parte del Comitato che ha seguito quella di Cagliari e che sta seguendo quella che si terrà a Taranto. 

Credo quindi che nelle comunità, nelle realtà associative, nelle aggregazioni laicali, nel vasto mondo dei movimenti ecclesiali ci sia la capacità di assumere questa postura sinodale di ascolto reciproco. Certo, dobbiamo maturare molto di più in questo senso, perché l’ascolto è difficile: non è semplice, come dice papa Francesco nella Fratelli tutti, riconoscere la diversità dell’apporto dell’altro, per poi saperla condurre verso un percorso convergente.  

È questo un passaggio importante. Penso che i laici possano offrire un significativo contributo, perché il loro compito è quello di aiutare le comunità a tenere dentro il proprio cammino tutte le tensioni che abitano la vita ordinaria delle donne e degli uomini di questo tempo, facendo sì che non siano causa di conflitti permanenti. Queste tensioni vanno invece attraversate proprio grazie alla capacità di saper costruire percorsi comuni, riconoscendo che siamo stati messi insieme dallo Spirito, che ci aiuta a fare molti passi avanti. 

Si tratta quindi di un periodo molto significativo, a cui noi laici possiamo dare davvero un contributo qualificante e fondativo anche in questo momento della vita del nostro Paese e del nostro mondo. Siamo all’indomani di una terribile pandemia e stiamo condividendo con tutti i fratelli e le sorelle il desiderio di una ripartenza. È bello che proprio in questo momento la Chiesa e la comunità cristiana offrano al più generale percorso di ripartenza la “carta del noi”, dopo un tempo caratterizzato da un forte individualismo e da una grande frammentazione, da quella che il Papa nell’Evangelii gaudium aveva definito “tristezza individualista”. 

Penso che dobbiamo saperci giocare questa “carta del noi”, per camminare insieme, per costruire percorsi di alleanze, di collaborazione, di cooperazione, di convergenza a tutti i livelli: tra le persone, nei e tra i territori, tra le organizzazioni e tra le istituzioni. È un’opera molto complessa, che però va realizzata. Credo che sia qui la bellezza di questo cammino sinodale, che non riguarda soltanto la Chiesa, ma è il contributo che si dà a uno stile, a un modo di essere, di abitare questo tempo con tutte le sue sfide, di andare verso il futuro e verso una visione più fraterna della società.

Grazie per questo invito a camminare insieme. Allora, buon cammino dentro questo Sinodo. 

Radio Inblu2000
4 giugno 2021