Ida Barelli non sarà mai la classica beata “giovane”. Nei suoi sogni di ragazzina, da grande sarebbe diventata «Suor Elisabetta missionaria in Cina, oppure madre di dodici figli», ma allo scoccare dei trent’anni, nel 1912, non è né l’una né l’altra. I genitori non l’hanno lasciata andare in convento, lei ha rifiutato le nozze con un buon partito, e a parte un solerte impegno nel sociale e un voto di verginità emesso in forma privata, la sua vocazione è ancora un tema aperto.
Da un paio d’anni è entrato nella sua vita un ex-medico e frate francescano, padre Agostino Gemelli, poco più anziano di lei, con cui ha grande sintonia intellettuale e spirituale. Lui la vedrebbe apostola laica nel mondo, e la stessa cosa le suggeriscono i suoi confessori. L’idea, pur vaga, la affascina: si avvicina al Terz’Ordine francescano, ma con riserva… In fondo spera sempre di poter partire missionaria. Nel 1917, l’arcivescovo di Milano le chiede di fondare la Gioventù Femminile di Azione Cattolica in diocesi. Prima dice no, poi dice sì ma precisando che lei «Parlare in pubblico? Mai!».
Nonostante i suoi timori, la GF ambrosiana è un successo, tanto che a Roma preparano presto le bozze dello Statuto per estenderla a tutta Italia. Barelli le legge con un po’ di malinconia: il limite d’età è stato fissato a venticinque anni. Dopo un anno di lavoro, si prepara dunque a lasciare la responsabilità della GF diocesana e occuparsi di altro: con padre Gemelli sta maturando il progetto dell’Università Cattolica. Invece, con sua sorpresa, riceve dal Papa la proposta di diventare vicepresidente generale delle Donne Cattoliche con mandato per il settore giovanile, e girare il Paese a fondare circoli.
Benedetto XV fatica non poco per convincerla ad accettare l’incarico, e quando infine ottiene il suo assenso, Ida obietta subito che: «venticinque anni sono troppo pochi. Comincerei io ad essere fuori legge. Almeno trenta, Santo Padre!» «Che vuol dire almeno trenta? Ne vorrebbe trentacinque?» «Precisamente» «E sia, vada per trentacinque!». È fine settembre 1918: Barelli ne compirà trentasei di lì a poco. Il Papa le ha confermato la vocazione alla missionarietà laicale, e lei si reca ad Assisi per suggellarla. Emette i voti di castità, povertà e obbedienza, consacrandosi a Dio con una Regola scritta apposta per lei.
È una giovinezza molto attuale, quella di Barelli, fatta di esperienze variegate tutte raccolte per Grazia su una strada non chiara. Incontri importanti, deviazioni di percorso, occasioni inattese a cui a volte acconsente solo per necessità (propria o altrui). La vocazione di questa donna è fatta “per cuciture”, rubando l’espressione a Gemelli che una volta la chiamò “cucitrice di opere”. In lei s’intrecciano infatti tante appartenenze: la famiglia francescana, l’Azione Cattolica, le originali e coraggiose opere fondate con padre Gemelli – la casa editrice Vita e Pensiero, l’Università Cattolica del Sacro Cuore, l’Opera della Regalità (che diffondeva opuscoli con la traduzione della Messa ben prima della riforma liturgica), le Terziarie Francescane del Regno Sociale del Sacro Cuore (oggi Missionarie della Regalità di Cristo) nate da quella Regola che nel 1918 era stata solo sua.
Armida Barelli non è figura esclusiva di AC, e questo è motivo di ulteriore venerazione, segno di un carisma davvero cattolico, cioè capace di unificare (senza uniformarle) sensibilità differenti. Un carisma fecondo più che mai per i/le giovani di oggi, chiamati/e a vocazioni “ibride”, tanto appassionanti quanto complesse: mettere in collegamento mondi, stare nelle tensioni, ritrovarsi per un attimo fuori luogo o fuori tempo mentre si elaborano nuove forme di Chiesa e di società. Sembra di sentire l’ormai celeberrima battuta dell’ultimo film di Sorrentino: «Non ti disunire». Non disunirsi, né però diventare monolitici e duri: un appello alla santità che risuona forte in orecchie giovani. Di ciò Armida Barelli è testimonianza folgorante; una donna che, nel Signore, ha tenuto insieme tutti i pezzi.
Alice Bianchi è Consigliere nazionale AC per il Settore Giovani