Sono arrivato a Montesilvano in serata insieme a Vanessa, mia compagna di cammino nel servizio di Vicepresidente per il Settore giovani della diocesi di Cesena-Sarsina. Siamo partiti da casa dopo una lunga giornata e settimana di lavoro e la prima cosa in cui ci siamo imbattuti è stata la fila verso la segreteria di accoglienza.
Erano passati due anni da quando, sempre assieme a Vanessa, allora solamente membri d’équipe, avevamo preso parte al Modulo di Morlupo. Gli appuntamenti nazionali sono sempre occasione di grandi riflessioni: per le nostre vite, per il modo in cui interpretiamo la responsabilità e per le idee che in questi contesti si innescano.
Anche Montesilvano non ha mancato di arricchirmi di stimoli e testimonianze, di incontri e di occasioni. In particolar modo ho potuto ricordare che il tema dell’Accompagnamento Spirituale riveste una delle parti fondamentali dei cammini che proponiamo come associazione e anche come Chiesa.
Se è vero che le feste, le iniziative di ritrovo, di carattere ludico oppure gli incontri con tematiche sociali o politiche vedono la partecipazione di tanti attori nei nostri territori locali, quella dei cammini di accompagnamento alla vita spirituale, che poi è la vita in tutte le sue sfaccettature, è una sfida che siamo in pochi, insieme ai fratelli delle altre associazioni e movimenti e in generale ad altre realtà legate alla chiesa, a proporre, certi della sua importanza per la vita delle persone che incontriamo e per la loro relazione di Dio e con il prossimo.
L’azione dell’accompagnamento spirituale da parte della Chiesa e della nostra associazione non è un puro sforzo intellettuale e umano, bensì il tentativo di assumere e fare proprio un certo modo di stare vicino alle persone che era il modo di nostro Signore.
La riflessione che porto a casa, e condivido tornato dai giorni di grazia del Modulo nazionale a Montesilvano, riguarda proprio la dimensione dell’accompagnamento spirituale nella mia realtà di Équipe e Consiglio diocesano: la proposta di un cammino di accompagnamento, infatti, è universale e riguarda tutti a ogni stadio di consapevolezza e scoperta della fede. Credo quindi sia necessario viverla anche all’interno di organi di fraternità come l’Équipe e il Consiglio.
Non è scontato affatto che un gruppo eterogeneo di laici, più o meno amici, più o meno conoscenti, sia in grado di accompagnarsi nel vivere una grande e importante responsabilità nei confronti di numerosi fratelli, della Chiesa e del mondo civile.
Non è scontato, senza un preciso cammino fatto insieme (nella sinodalità appunto) essere pronti a condividere decisioni talvolta, come questo tempo ci ha insegnato, molto difficili.
Dunque la mia domanda è la seguente: “Perché non proporre a ciascun Consiglio diocesano, a ciascuna Équipe o a ciascuna Presidenza un piccolo percorso di accompagnamento spirituale nella logica della sinodalità, nella conoscenza reciproca e nel rispetto profondo della persona dell’altro?”.
Ritengo che possiamo sforzarci enormemente di proporre gli incontri più entusiasmanti, l’ascolto delle voci più significative dei nostri tempi, l’approfondimento alla Parola che salva, ma se non ci fermiamo prima a domandarci se l’altro che ho davanti è mio fratello veramente, tutti i nostri tentativi cadranno di certo nel banale.
Parte della missione di accompagnamento spirituale, in particolar modo in un gruppo, è restituirci il nostro essere famiglia in Cristo: è sentirci prima di ogni cosa fratelli “accompagnati” perché come direbbe Olivero solo accompagnati, accompagniamo.
Affinché il vivere fraternamente la nostra responsabilità sia concretamente un appello al nostro nome ogni qualvolta prendiamo parte alle riunioni della Presidenza, del Consiglio o delle nostre Équipe.